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Lo scorso 30 maggio 2023 è stata siglata l’intesa per il rinnovo del CCNL della Vigilanza privata da parte di FILCAMS CGIL, FISASCAT CISL e UILTUCS UIL, oltre che dalle parti datoriali (ANIVP, ASSIV, UNIV, LEGACOOP, AGCI, Confcooperative). Il nuovo CCNL ha validità triennale, dal 1° giugno 2023 al 1° giugno 2026, ed interessa nel suo complesso un numero relativamente ridotto di addetti, poco più di 100mila.

Questo rinnovo ha ottenuto un certo rilievo mediatico [ad esempio su Il fatto], in modo assai inusuale in una stagione in cui le vicende sindacali non hanno praticamente attenzione, non solo nella comunicazione mainstream, ma spesso anche in quella più di nicchia della cosiddetta sinistra. Questa volta la si è avuta per un solo motivo: le tabelle salariali di una particolare sezione di quel contratto, i cosiddetti servizi fiduciari.

Il CCNL della Vigilanza, infatti, si focalizza su due figure: le Guardie Particolari Giurate e i Servizi fiduciari di vigilanza. Le Guardie Giurate, anche armate, sono addette alla vigilanza dei beni mobili e immobili del proprio datore di lavoro (art. 133 TULPS) o altrui (art. 134 TULPS) e a tutte le altre attività di sicurezza in cui non sono richieste pubbliche potestà (D.M. 85/99 e 154/09). Sono cioè figure definite per legge, assunte solo da Istituti di Vigilanza Privata dotati di apposita licenza rilasciata dalla Prefettura. La vigilanza fiduciaria, non armata, ha invece compiti di controllo accessi, registrazione ingressi e uscite, accoglienza clienti, controllo sistemi di videosorveglianza, vigilanza di stabili o manifestazioni pubbliche. I dati più recenti che siamo riusciti a rintracciare (Federsicurezza, 2021) segnalano che gli Istituti di Vigilanza in Italia sono 1.745 (463 quelli certificati ai sensi del DM 115/2014), con circa 76.000 addetti, molto cresciuti dal 2015 (+22,8%). Gli oltre 15mila dipendenti in più sono concentrati in alcuni grandi gruppi, per l’aumento del personale disarmato, chiamato a svolgere servizi di piantonamento e di portierato – i cosiddetti servizi fiduciari. Come ricorda il rapporto, nel caso in cui i servizi fiduciari siano predominanti, le aziende possono essere classificate come imprese specializzate nella fornitura e gestione integrata di servizi di portineria e sorveglianza. Questo comparto risulta essere in forte crescita negli ultimi anni: nel 2020 risultano 2.389 imprese e 27.333 dipendenti, con una dimensione media di 11,4 addetti per impresa. Negli ultimi cinque anni queste imprese sono aumentate del 154,1% e gli addetti sono cresciuti del 91,3%, mentre nel 2020 si ha un +15,0% di imprese, +13,7% di addetti rispetto al 2019. Possiamo allora ritenere che dei 100mila addetti del settore probabilmente meno di metà siano Guardie Giurate (40mila secondo una stima Altalex) ed almeno la metà siano addetti alla vigilanza, molto in crescita negli ultimi anni.

Ci si potrebbe domandare perché le tabelle salariali di alcune decine di migliaia di dipendenti abbiano scatenato questo interesse. Al fondo, è la stessa ragione per cui si sono moltiplicati questi lavoratori e lavoratrici. Come ricorda con una certa enfasi l’articolo de Il Fatto prima citato, è il peggior contratto collettivo d’Italia. I salari dei Servizi Fiduciari della Vigilanza privata, cioè, non sono semplicemente bassi (come del resto quelli di tutto il paese, per la lunga stagione di concertazione e disarticolazione contrattuale, come ho sottolineato in un seminario del 2017): sono gli inquadramenti peggiori di tutto il sistema contrattuale italiano. Da fame nel senso letterale del termine, perché definiscono stipendi al di sotto della stessa soglia di povertà assoluta (qui il relativo calcolatore ISTAT). L’attenzione sul contratto, in realtà, è anche una conseguenza della sua diffusione nel mondo del lavoro: sebbene siano così inquadrate solo poche decine di migliaia di persone, queste sono inserite praticamente in ogni dove.

Dipendenti con questo CCNL, infatti, si trovano nelle manifestazioni pubbliche come fiere e congressi, nelle portinerie di imprese private, in musei privati e pubblici, negli uffici dei grandi enti, nelle USL e nelle università. Sì, anche nei servizi pubblici spesso le persone agli ingressi sono inquadrati con questi contratti. Proprio il profilo da fame di questi stipendi ha infatti prodotto un diffusissimo dumping (vedi questa riflessione di PuntoCritico di un paio di anni fa): la sostituzione cioè di dipendenti diretti delle imprese e degli enti pubblici con queste mansioni, a tempo indeterminato e inquadrati nel rispettivi CCNL di settore (usufruendo dei relativi istituti contrattuali, indennità, orari, limiti ai tempi di lavoro), con società di servizi, in appalto, in grado di rispondere a precise esigenze di flessibilità ed estensione oraria, con loro dipendenti inquadrato in questo contratto trasversale a costi bassissimi. In questo modo, nonostante l’intermediazione di un’impresa esterna, i suoi costi e i suoi profitti, gli enti risparmiano proprio perché si è abbattuto il salario di lavoratori e lavoratrici. In alcune realtà della pubblica amministrazione questo processo è stato persino sospinto da alcune norme. Per esempio, nel mio settore, l’università, il DL 49/2012 ha introdotto precisi vincoli e rapporti tra entrate e costo del personale, che possono esser aggirati proprio esternalizzando i servizi: così, infatti, hanno fatto molti atenei per portinerie, biblioteche, assistenza tecnica e informatica, specifici servizi amministrativi.

Questa realtà interessa l’insieme del sindacato. O, almeno per me, dovrebbe interessarlo. Infatti, lavoratori e lavoratrici con questo inquadramento si trovano inseriti in tutti i posti di lavoro (fabbriche metalmeccaniche e chimiche, grandi magazzini e università, ospedali e stazioni, ecc), spesso spalla a spalla con dipendenti che svolgono mansioni simili, ma in tutte altre condizioni contrattuali e stipendiali. La conferenza di organizzazione CGIL del febbraio 2022 ha deciso di dare impulso alla costruzione di coordinamenti e iniziative di sito, ricostruendo le filiere e l’iniziativa sindacale da un punto di vista generale. Una decisione ribadita al recente XIX congresso, in cui si è anche deciso di verificare confederalmente perimetri e spazi dei diversi contratti, proprio per limitare le dinamiche di dumping. Ecco, proprio l’esistenza dei servizi fiduciari, queste tabelle stipendiali e la conseguente diffusione di questi rapporti di lavoro, rende da una parte evidente questa necessità, dall’altro fondamentale affrontare questa questione ben oltre la categoria.

La miseria inquadrata nella contrattazione è infatti problema di tutti. Perché, di fatto, si svolge a contatto di tutte le categorie, intossica tutte le realtà lavorativa. Come racconta qualche vecchio dipendente del settore, livelli di estremo sfruttamento in questi servizi erano presenti da sempre, con condizioni di lavoro nero e grigio, frequenti distorsioni contrattuali. Ad esempio, si inquadravano nel CCNL del portierato, anche per mansioni che nulla avevano a che fare con abitazioni, riconoscendo solo una paga base senza alcuna indennità (posta, pulizie, controllo scale e ascensori), arrivando a dichiarare come locazione i precari gabbiotti in cui svolgevano le proprie attività, che venivano all’uopo dotati di letti, per erogare stipendi più bassi (come per chi aveva una vera abitazione assegnata in un condominio). La scelta nel 2013 di portare i servizi fiduciari nel CCNL della Vigilanza privata (di fatto aggiungendo ad un contratto di 146 articoli e 80 pagine un’improvvisata sezione aggiuntiva di 33 articoli e una quindicina di pagine) è stata comunque molto discutibile. Anzi, discussa, come ricordano diversi delegati in un loro testo del gennaio 2022 (pubblicato sul sito di RT): la transizione contrattuale dei fiduciari dal CCNL “Portieri e Custodi” e “Multiservizi” a quello della “Vigilanza Privata” ha configurato un’operazione che mirava principalmente ad abbattere il costo del lavoro all’interno della Filiera della Sicurezza, facendo leva su diversi fattori (i bassi salari; l’aumento considerevole del volume dell’offerta di lavoro all’interno della categoria; la non sindacalizzazione della nuova figura e quindi la debolezza organizzativa che ne è conseguita; una normativa relativa agli Operatori Fiduciari poco definita e mal regolamentata che ha dato adito all’enorme fraintendimento sul tema delle mansioni ed ha fornito l’assist alle aziende per usare, a parità di mansioni, una manodopera a minor costo). Come sottolinea l’avvocato Cartillone sul Diario del lavoro (2021), infatti, la retribuzione prevista dal CCNL Servizi Fiduciari è inferiore del 22% rispetto al CCNL del Multiservizi, del 25% rispetto al Portierato, del 34% rispetto al Terziario-commercio. Per tacere delle retribuzioni e delle condizioni contrattuali che avevano lavoratori e lavoratrici inquadrati nei CCNL pubblici e privati, sostituiti dagli appalti. Allora, la certificazione di un salario da fame in un CCNL, in un contratto sottoscritto dalle principali organizzazioni sindacali (CGIL CISL UIL di categoria) e non in un cosiddetto accordo pirata, invece di esser la base di partenza di un progressivo avanzamento è stata solo l’occasione per una sua diffusione di sistema [nel mio settore, ad esempio, ho presente i tanti atenei che hanno giustificato la scelta, rivendicando di applicare un contratto sottoscritto anche dalla CGIL].

Vediamoli, allora, questi salari. Il CCNL è appunto quello della Vigilanza privata, con vigenza dal 1° febbraio 2013 al 31 dicembre 2016, sottoscritto dalle categorie di CGIL e CISL (ma non da UILTUCS), rimasto in vigore sino ad oggi (per la precisione sino al 1° giugno 2023, quando scatterà il rinnovo). Gli articoli che regolano il salario dei Servizi Fiduciari sono quelli compresi tra il 24 ed il 32 della seconda parte del CCNL. Il loro stipendio è composto da paga base conglobata (art. 24), eventuali scatti di anzianità (art. 25), tredicesima (art. 26), TFR (art. 28), assistenza sanitaria integrativa o sua sostituzione in stipendio (art. 32). I livelli previsti sono 6 (da A a F, art. 6): i primi tre sono direttivi (A: direzione e controllo; B: responsabili; C: coordinatori); il livello D è quello degli operatori (di fatto il più diffuso); i livelli E ed F sono di ingresso (ognuno di 12 mesi).

Lo stipendio mensile si può quindi definire così: paga conglobata base + quota mensile della 13° (paga base/12) + quota mensile del TFR ((paga base + 13°)/13,5).

Altri istituti contrattuali. A questa cifra sarebbe necessario aggiungere l’assicurazione sanitaria integrativa: secondo l’art. 32 del contratto, sono 12 euro mensili di iscrizione al fondo F.A.S.I.V, che in caso di mancata iscrizione dovrebbero diventare un elemento distinto della retribuzione non assorbibile di importo pari ad euro 30 lordi mensili, da corrispondere per 13 mensilità [dovrebbero, perché in realtà diverse aziende, in particolare le più piccole, non versano di fatto né l’una né l’altra].2
Il contratto prevede anche gli scatti di anzianità (art. 25): sono sei, triennali (maturati presso la stessa azienda o in continuità di appalto, secondo le procedure previste dalle norme e dall’art 5 del contratto), a partire dai 15 euro del livello D sino ai 21 del A. Tenendo in considerazione che qui vogliamo calcolare i livelli minimi, non li prenderemo in considerazione. Inoltre, il CCNL all’art. 28 (prima parte) inserisce la previdenza integrativa (0,50% della retribuzione dal dipendente e 0,50% a dal datore di lavoro): essendo facoltativa, non sarà però tenuta in considerazione. Ancora, il CCNL prevede che dal 1° gennaio 2016 sia erogata una sorta di indennità di vacanza contrattuale (20 euro per il livello D; 18,86 euro per il livello E; 17,14 per il livello F), però questa è assorbita dagli aumenti previsti dal rinnovo (quindi anche questo importo non sarà tenuto in considerazione). Infine, è importante ricordare che il CCNL prevede anche le ferie (26 giorni all’anno se orario settimanale su 6 giorni, 22 se su 5 giorni) e la malattia (retribuite al 100% anche nei primi tre giorni): anche se questi elementi non pesano direttamente sullo stipendio, sono anch’essi da ricordare quando si guarda al salario di un lavoratore e di una lavoratrice (riducendo in sostanza il loro tempo di lavoro a parità di stipendio).

Per calcolare la paga oraria, l’art. 10 del contratto definisce l’orario di lavoro: 40 ore la settimana, che sono definite in 173 al mese (più o meno le 40 alla settimana moltiplicate per 4,3).

Prendiamo quindi in considerazione gli stipendi del livello F (ingresso iniziale) e del livello D (operatore a 24 mesi dall’assunzione).

Stipendio mensile lordo Livello F= 797,14 + 797,14/12 + ((797,14 + 797,14/12)/13,5)=
=797,14 + 66,43 + (863,57/13,5) = 863,57 + 63,97 = 927,54 euro
(a cui si deve aggiungere 12 euro FASIV o 32,3 euro sostitutivi, ferie e malattia).

Stipendio mensile lordo Livello D= 930 + 930/12 + ((930 +930/12)/13,5)=
=930 + 77,50 + (1.007,5/13,5) = 1.007,5+ 74,63 = 1082,13 euro
(a cui si deve aggiungere 12 euro FASIV o 32,3 euro sostitutivi, ferie e malattia).

Lo stipendio netto in busta paga è invece complicato da prevedere. La tredicesima e il TFR sono stipendio differito: l’una la si prende solo alla fine dell’anno (con una tassazione differenziata, che la riduce nel netto a meno di una mensilità), l’altro al termine del periodo lavorativo (licenziamento o pensione). Lo stipendio mensile netto è quindi composto in questo caso dalla paga base conglobata (nel nostro caso 797,14 euro per il livello F e 930 per il livello D), a cui si deve togliere il 9,19% di contributi previdenziali a carico del lavoratore/lavoratrice e il 23% di IRPEF + le addizionali locali (mediamente tra 1,5 e 2%). A questa cifra, però, si deve aggiungere la detrazione da lavoro dipendente (1.800 euro sino ai 15mila euro di reddito, cioè l’aliquota IRPEF effettiva per questi stipendi è in realtà intorno al 7,5%, non al 23%), il bonus Renzi (80 euro, in relazione al reddito complessivo, secondo l’art 1 del DL 66/2014) poi sostituito da Conte e Draghi (100 euro, art 1 DL 3/2020 e poi art. 1, comma 3, legge 234/2021). Senza dimenticare la possibilità di aggiungere eventuali detrazioni ed assegni familiari. Inoltre, negli ultimi anni c’è da considerare il cosiddetto taglio del cuneo fiscale (Draghi, 0,8% dal gennaio 2022; a cui si aggiunge l’1,2% da luglio 2022 e l’1% di Meloni da gennaio 2023, con scadenza a dicembre): per i redditi in questione, questa misura temporanea si può complessivamente calcolare intorno ai 20 euro mensili (più o meno). Per un livello D, con le detrazioni da lavoro dipendente, la paga mensile netta può quindi arrivare intorno ai 740 euro mensili, più i vari bonus (intorno ai 120 euro). Per un livello F, la paga mensile netta può arrivare intorno ai 640 euro, più i vari bonus (intorno ai 120 euro). Cifre comunque solo indicative, imprecise e variabili sulla base delle specifiche condizioni di lavoratori e lavoratrici, tali per cui terremo d’ora in poi in considerazione solo gli importi lordi.

Paga oraria livello F (mensile/diviso 173) = 4,61 euro (senza 13°/TFR); 4,99 euro (con 13°); 5,36 euro (con 13°e TFR), a cui aggiungere 0,06 euro per FASIV o 19 centesimi per indennità sostitutiva.

Paga oraria livello D (mensile/diviso 173) = 5,37 euro (senza 13°/TFR); 5,82 euro (con 13°); 6,25 euro (con 13°e TFR), a cui aggiungere 0,06 euro per FASIV o 19 centesimi per indennità sostitutiva.

Sono questi importi mensili, sono questi importi orari, che evidenziano l’esistenza di un problema di salario minimo anche in questo paese, nonostante l’ampia copertura contrattuale. Stiamo parlando di una paga di poco più di 4,5 euro all’ora, lordi! Come segnala la pagina Salario minimo: è ora! (a cura di PuntoCritico.info), la discussione in Europa e in Italia sui limiti di legge della paga oraria prendono vita proprio da queste condizioni di ipersfruttamento. Condizioni che, in modo evidente, il contratto nazionale da solo non è in grado di evitare, tale per cui serve una legge che imponga un minimo assoluto (come avviene da tempo in 21 dei paesi UE). Una parte del XIX rapporto annuale INPS (2020) è dedicata al salario minimo [3.4 Salario minimo: letteratura, stime empiriche, problemi di monitoraggio e stima degli effetti per la finanza pubblica, pag. 217-244]. Nel testo, oltre che un’interessante analisi della recente letteratura sul rapporto tra salario minimo e occupazione, viene posto con chiarezza il problema della struttura del salario (cosa è compreso nel salario minimo orario? La paga base; la paga base e le ulteriori mensilità; la paga, le ulteriori mensilità e il TFR?). Inoltre, nel testo è proposta una simulazione, secondo i dati INPS 2019, di quanti lavoratori e lavoratrici sono sotto tre possibili soglie (8; 8,5 e 9 euro), considerando tutte e tre i diversi calcoli del salario.

XIX rapporto INPS, tavola 3.21, pagina 231

Il salario minimo, come d’altra parte è evidente anche per i calcoli appena fatti, non può in realtà prescindere dalla complessità della retribuzione, che si basa su una struttura stipendiale articolata (con diversi istituti contrattuali: paga base, indennità, elementi distinti della retribuzione, ferie, malattia, ecc). Proprio per evitare che un eventuale salario minimo diventi strumento di livellamento e destrutturazione del salario, è importante che la legge imponga dei minimi e nel contempo li rapporti ai Contratti nazionali di categoria, cioè alle diverse strutture salariali in essi considerati.

Le vertenze legali e le sentenze di Tribunale. Nonostante l’assenza di una legge, si può ben dire che c’è stato un giudice a Berlino. In realtà, i giudici sono stati molti. Sin da subito hanno infatti visto un’incongruenza tra quanto stabilito nel CCNL della Vigilanza Privata e quanto stabilito dall’articolo 36 della Costituzione, pur nella sua generalità [Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa]. La prima sentenza di cui ho trovato traccia è addirittura del 2016, contro la Prodest Servizi Fiduciari di Milano. Ne seguono innumerevoli, al Tribunale del Lavoro e in Corte di Appello: tra quelle che ho trovato, la n.1128 del 09.08.2019 (Tribunale di Torino); n.701 del 28.05.2019 (Corte di Appello di Milano); n.225 del 25.02.2020 (Tribunale di Milano); senza numero, del 15.04.2021 (Tribunale di Milano); n.2625 del 2.12.2021 (Tribunale di Milano); n. 1803 del 18.08.2021 (Tribunale di Milano); n.673 del 22.3.2022 (Tribunale di Milano); n.580 del 13.6.2022 (Corte d’Appello di Milano); n.626 del 19.09.2022 (Corte di Appello di Milano); senza numero, 21.2.2023 (Tribunale di Milano). Da notare che praticamente tutte prendono in considerazione il livello D della tabella servizi fiduciari del CCNL 2013/2015: cioè, il livello più alto che abbiamo prima visto, non quello di ingresso che è ancora più basso. Nella differenza di argomentazione, le diverse sentenze insistono sostanzialmente sullo stesso concetto. Le tabelle del CCNL dimostrano una violazione dei principi di proporzionalità della retribuzione e, soprattutto, di sufficienza della stessa a condurre una esistenza libera e dignitosa per far fronte alle esigenze di vita proprie e della famiglia. Questo perché la retribuzione erogata è stata inferiore di circa un terzo rispetto a quella prevista da tutti i C.C.N.L. similari ed usualmente applicati nello specifico settore fino all’entrata in vigore della sezione Servizi Fiduciari del C.C.N.L. Vigilanza ed altresì ampiamente inferiore al tasso-soglia di povertà assoluta. Inoltre, nella determinazione della giusta retribuzione ai sensi dell’articolo 36 Cost., si deve fare riferimento soltanto alla retribuzione base, senza prendere in considerazione ulteriori istituti retributivi. E, infine, benché sia tratta dai minimi tabellari di un CCNL firmato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, una retribuzione sensibilmente inferiore al tasso-soglia di povertà assoluta individuato dall’Istat ed ai livelli retributivi previsti per posizioni professionali analoghe da altri CCNL non può considerarsi conforme ai principi di proporzionalità e di sufficienza ricavabili dall’art. 36 della Costituzione. Questo è un ripetuto giudizio di incostituzionalità dell’articolo 24 del CCNL servizi fiduciari, cioè di quelle tabelle stipendiali, che è impietoso nei confronti dei datori di lavoro, ma che costituisce indubbiamente un problema anche per le organizzazioni sindacali che hanno sottoscritto quel contratto. Perché questo giudizio non arriva solo ora, a dieci anni di distanza dalla sottoscrizione di quel contratto senza alcun rinnovo, ma sono iniziati a moltiplicarsi subito dopo l’entrata a pieno regime degli aumenti previsti (cioè, sin dal 2016). Quelle tabelle, cioè, non sono solo sbagliate oggi, ma contrastavano i principi Costituzionali quasi da subito (almeno, così sono apparse a diversi giudici del Lavoro, al di là del fatto che poi quel contratto non si è rinnovato negli anni successivi).

La situazione era così evidentemente insostenibile, che anche le organizzazioni sindacali firmatarie hanno iniziato a ricorrere contro il contratto che hanno sottoscritto. Dopo aver condotto diversi scioperi per il rinnovo del CCNL (solo negli ultimi tempi, per esempio, il 2 maggio 2022; il 24 ed il 31 dicembre 2022 o in primavera in alcune regioni come Friuli o Toscana), a marzo di quest’anno anche Filcams Cgil e Fisascat Cisl hanno depositato una Class action, per ottenere la disapplicazione delle tabelle retributive del CCNL – sezione servizi fiduciari, in quanto l’impegno delle controparti consisteva nel migliorare le condizioni salariali degli ultimi livelli del personale impegnato nei servizi fiduciari, che erano considerate di emersione per un settore all’epoca privo di regolamentazione contrattuale. Essendo che tale impegno è stato disatteso, provocando una strumentalizzazione negli appalti che ha compresso e penalizzato le retribuzioni dei lavoratori, con grandi guadagni sia delle aziende che dei committenti si è deciso di agire anche sul piano delle vertenze legali oltre che su quello della più diretta azione sindacale.

Qual è stata la reazione delle imprese? Sentiamolo direttamente da una voce del padrone, cioè quella del Presidente della Commissione Sindacale di ANI-sicurezza (una delle associazioni del settore), Enzo De Fusco (in realtà docente Universitario e Consulente del Lavoro): tali sentenze, con l’applicazione ex nunc o, addirittura ex tunc delle più onerose condizioni previste dal CCNL Multiservizi, produrrebbero il dissesto economico delle imprese del settore; bisogna quindi rinnovare il contratto dei servizi fiduciari, ma gli importi devono essere coerenti con quanto il mercato è in grado di assorbire [cioè, il salario e i relativi diritti devono comunque esser solo una variabile dipendente del mercato, con la prioritaria salvaguardia dei…diritti del padrone di perseguire i suoi profitti). Cioè, la massa salariale deve esser distribuita in modo intelligente nell’arco di durata contrattuale, che a mio avviso non dovrebbe essere inferiore a quattro anni. Magari, usando anche forme di welfare, ripensando alla struttura delle retribuzioni, utilizzando in misura maggiore gli strumenti di incentivazione e di sostegno del reddito previsti dalla legge. Come spesso accade, il padronato è chiaro nelle sue valutazioni. Soprattutto, tende ad esser conseguente quando poi agisce.

Vediamo infatti cosa prevede questo rinnovo contrattuale, dal quale siamo partiti. Al di là di alcuni elementi che balzano all’occhio [ad esempio, i 400 euro di una tantum erogati solo alla Guardie Giurate e non ai servizi fiduciari, ribadendo la divisione tra lavoratori e lavoratrici dello stesso contratto, per di più da definire con accordo separato anche in welfare], il punto centrale dell’accordo è quello degli aumenti sulla paga base conglobata. Questo è un elemento fondamentale di ogni contratto: lo è ancora più quello di un rinnovo su una tabella più volte dichiarata incostituzionale dai Tribunali e che gli stessi sindacati hanno riconosciuto esser solo un passaggio per l’emersione e quindi da superare (aderendo alle stesse iniziative giudiziarie di messa in discussione di quei livelli salariali).

Quali sono allora gli aumenti? Prima di parlare di cifre, teniamo in considerazione che l’intesa sottoscritta fa sparire del tutto il livello di ingresso F (che quindi non esiste più), portando però l’attuale livello E (che diventa quindi l’unico livello di ingresso) da una durata di 12 ad una di 18 mesi (estendendolo quindi del 50%, contenendo così la scomparsa del primo ingresso). In questo quadro, l’intesa prevede un aumento a regime di 140 euro al livello D (inglobando i 20 euro di vacanza contrattuale erogati dal 2016) e 132 euro al livello E. Lasciamo per il momento da parte che, a 7 anni di distanza dalla scadenza del precedente CCNL, per i servizi fiduciari non è previsto nessun recupero salariale per questo intermezzo e che gli aumenti sono spalmati sul triennio di vigenza (dal 2023 al 2026): 50 euro al 1 giugno 2023, 25 euro a giugno 2024, 25 euro a giugno 2025; 20 euro a dicembre 2025, 20 euro a dicembre 2026. Un elemento comunque molto negativo, che in sostanza ha fatto proprio l’appello di De Fusco che prima abbiamo richiamato (distribuiamo la massa salariale di aumento nell’arco di durata contrattuale), in una stagione che vede ancora un’inflazione complessivamente all’8%, oltre il 12% sui beni essenziali che compongono in maniera quasi esclusiva il paniere di redditi così bassi. Prendiamo in considerazione semplicemente i totali a regime, come si applicassero subito.

Il nuovo stipendio di ingresso mensile lordo (livello E) è fatto da (paga base + aumento) + 13° + TFR=
= (876,86 + 132) + 13° + TFR = 1008,86 + 1008,86/12 + TFR=
= 1008,86 + 84,07 + (1008,86 + 84,07)/13,5=
= 1092,93 + 1092,93/13,5= 1092,93 + 90,96= 1.173,89 euro
(a cui si deve aggiungere 12 euro FASIV, o 32,3 euro sostitutivi, oltre che ferie e malattia).

La nuova paga oraria di ingresso (livello E: mensile/diviso 173)= 5,83 euro (senza 13°/TFR); 6,32 euro (senza TFR); 6,78 euro (con TFR/13*), a cui aggiungere 0,06 euro per FASIV o 19 centesimi per indennità sostitutiva.

Il nuovo livello D (operatori): 930+140+13*+TFR= 1.070 + (1.070/12) + TFR =
= 1.070 + 89,17 + (1.070+89,17)/13,5 = 1.159,17 + 85,86 = 1.245,03 euro
(a cui si deve aggiungere 12 euro FASIV, o 32,3 euro sostitutivi, oltre che ferie e malattia).

La nuova paga oraria livello D (mensile/diviso 173) = 6,18 euro (senza 13°/TFR); 6,70 euro (con 13°); 7,20 euro (con 13* e TFR), a cui aggiungere 0,06 euro per FASIV o 19 centesimi per indennità sostitutiva.

In sostanza, l’aumento sulla paga di ingresso è quello tra il precedente livello F (paga lorda mensile 797,14 euro; con 13° 863,57 euro; con TFR e 13° 927,54 euro; paga lorda oraria rispettivamente 4,61 euro; 4,99 euro; 5,36 euro) e l’attuale livello E (paga lorda mensile 1008,86 euro; con 13° 1092,93 euro; con TFR e 13° 1.173,89 euro; paga lorda oraria rispettivamente 5,83 euro; 6,32 euro; 6,78 euro). Quindi l’aumento mensile in ingresso è pari a (1008,86-797,14)= 211,72 euro. L’aumento orario in ingresso è pari a (5,83-4,61)= 1,22 euro. Cioè, l’aumento per l’ingresso è di circa il 26,5%.

L’aumento per il livello D è, per la paga lorda mensile, pari a 140 euro; per la paga lorda oraria, pari a 0,81 centesimi (6,18 – 5,37 euro). Cioè, l’aumento è pari a circa il 15,05%.

Per una valutazione di questi aumenti, è forse utile dire due parole sull’inflazione. Dal primo gennaio 2016 al 31 dicembre 2021 l’inflazione è stata ridotta ma non assente: secondo l’ISTAT, l’indice FOI del periodo è stato complessivamente del 6,5%; l’indice IPCA (non depurato) pari al 9,6%. Dal 1° gennaio 2022 sino ad oggi (aprile 2023) l’indice FOI ha segnato un altro +9,90%, quello IPCA +12,60%. L’inflazione totale nel periodo di buco contrattuale (più o meno, mancando ancora maggio e giugno con un’inflazione ancora all’8%) è complessivamente vicina o intorno al 20% (16,4% FOI; 22,2% IPCA). Il contratto, però, scade a giugno 2026. Difficile prevedere il suo comportamento nei prossimi 36 mesi, tenendo conto che è da due anni che governi, banche e istituti economici sottolineano la sua breve durata e devono poi constare la sua persistenza. In ogni caso, ad oggi è data intorno al 6% per il 2023 (5,8% per il DEF), al 2,8% per il 2024; al 2,3% per il 2025, al 2% per il 2026.  Cioè, possiamo ad oggi ipotizzare dal giugno 2023 al giugno 2026 un’inflazione composta almeno tra il 6 ed il 7%. Il confronto tra le tabelle 2016 e 2026 di questo CCNL è allora che l’aumento previsto per il livello di ingresso copre a malapena l’inflazione cumulata, per il livello D neanche (delineando una riduzione del salario reale di una decina di punti percentuali).

La valutazione dei sindacati firmatari è che questo rinnovo dopo 7 anni chiude la lunga fase vertenziale, assicura incrementi salariali significativi e miglioramenti normativi per le lavoratrici e i lavoratori del settore. Una valutazione di cui devono esser particolarmente convinti, aprendo e chiudendo con questa frase la loro comunicazione. A me, per dirla sobriamente, pare una valutazione al di fuori della realtà. Cioè, una valutazione che nega semplicemente lo stato delle cose. Certo, l’aumento ottenuto non è di 28 cent all’ora (come titola Il fatto nell’articolo prima citato). Questo rinnovo però non cambia letteralmente nulla della condizione incostituzionale di quella tabella salariale. L’adegua, neanche completamente, all’inflazione reale di questo periodo (ricordiamo infatti che le cause vinte riguardano il livello D dei Servizi fiduciari, non quello di ingresso che ottiene l’aumento più consistente per effetto dell’eliminazione del F).

Questo risultato, allora, non è semplicemente insufficiente o negativo. In un rinnovo contrattuale, particolarmente in una stagione di arretramento generale del lavoro e in un settore di particolare debolezza di lavoratori e lavoratrici, in fondo un risultato simile sarebbe prevedibile. Il problema è che questo risultato è indicativo dell’attuale impotenza sindacale. Dimostra cioè che la contrattazione non serve a fare uscire i salari da uno stato di palese indigenza, anche quando viola esplicitamente i principi costituzionali, il pur vago parametro di adeguatezza sociale che lì vi è richiamato. Questo contratto, mantenendo gli stipendi netti sotto le soglie di povertà assoluta, certifica la svalutazione della forza-lavoro anche nel quadro del contratto nazionale, sancendo l’esistenza dei working-poor come normalità. Questo risultato, allora, è inaccettabile.

In conclusione, questo è un rinnovo gravemente sbagliato, perché squalifica tutta la contrattazione, perpetuando quella dinamica di dumping che abbiamo conosciuto nell’ultimo decennio. Per questo mi auguro che la Confederazione, oltre che la valutazione di lavoratori e lavoratrici, porti i sindacati di categoria a non sottoscriverlo. Mi auguro cioè che la FILCAMS e la CGIL si sfilino da questa intesa. In ogni caso, proprio questa dinamica mostra con sempre più evidenza la necessità di condurre una battaglia per il salario minimo in grado di coniugare l’iniziativa legislativa e la pratica contrattuale. È l’esperienza delle cose che sottolinea l’importanza che l’insieme del lavoro, a partire dai settori e dalle categorie più forti, impongano vincoli generali ai salari (anche per evitare che la loro svalutazione nei settori più deboli penetri anche poi dappertutto, proprio come è avvenuto con la Vigilanza o i Multiservizi). Il salario minimo deve esser in grado di considerare la paga complessiva di lavoratori e lavoratrici (quindi comprensiva di ulteriori mensilità, TFR, ecc), ma proprio per questo non può esser vicina ai 7 o 7,5 euro orari, e in realtà neanche ai 9, le cifre che sono spesso circolate in questi anni. Sono questi stessi calcoli che lo dimostrano, essendo che il salario da fame di questo contratto, schiacciato sotto la soglia di povertà, nella sua globalità raggiunge comunque i 7,2 euro all’ora. Serve quindi non sottoscrivere questo accordo e sviluppare la lotta per un minimo salariale di legge, intrecciato con la contrattazione. In ogni caso, anche in questa esperienza, si rinnovano le ragioni più generali dell’urgenza di una svolta sindacale, come unica possibilità per difendere il lavoro e i suoi interessi.

Luca Scacchi
Assemblea Generale CGIL

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