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E’ guerra in Ucraina.
Il latrato cupo della contraerea annuncia che in Europa torna lo spettro di un conflitto tra le grandi potenze mondiali. Ancora una volta, come in passato, il capitalismo per superare le proprie contraddizioni spalanca l’inferno in terra con una guerra che travolge città, famiglie e popolazioni, che produce morte e miseria tra gli strati più poveri della popolazione. Il bagliore dei missili non rischiara l’orizzonte, ma lo rende ancora più cupo. Recessione, rallentamento economico, crisi energetica, tensioni crescenti tra i diversi blocchi mondiali è il naturale corollario che il conflitto armato trascina con sé. Il conflitto in Ucraina può aprire una fase burrascosa, gravida di pericoli, in cui il confronto bellico può trasformarsi da elemento complementare a elemento principale dello sviluppo capitalista.

Come sempre, il fragore dei cannoni si accompagna alla propaganda.
Putin, l’autocrate moscovita giustifica lo scatenamento della guerra con il motivo di soccorrere la popolazione russofona assoggettata dal governo di Kiev, nascondendo dietro questi argomenti l’interesse di una parte della borghesia russa a mantenere il controllo delle aree economiche confinanti; mentre invece le cancellerie occidentali lo attribuisce alle bizze di un inaffidabile dittatore fuori controllo, celando invece le politiche aggressive sviluppate principalmente dagli Stati Uniti in questi ultimi trent’anni (l’allargamento della Nato ad est, lo scudo missilistico installato da Washington, il sostegno euro-atlantico alla rivolta di piazza Majdan).

In realtà, sono gli interessi economici e geopolitici a scatenare le guerra.
Dietro l’intervento russo in Ucraina si scorge la contesa tra i diversi imperialismi per ridefinire le sfere d’influenza e preservare gli sbocchi commerciali. Il lungo ciclo della crisi economica iniziato nel 2008 ha accresciuto la competizioni tra le diverse aree economiche e commerciali del pianeta. In particolare si è approfondito lo scontro economico e commerciale tra la declinante superpotenza americana e l’emergente imperialismo cinese; una contesa che ha iniziato a produrre anche delle tensioni sul terreno militare (l’esponenziale aumento delle spese per gli armamenti, che ha raggiunto nel 2020 lo stratosferico tetto dei duemila miliardi di dollari, lo sta a dimostrare).
In questo quadro così conflittuale ogni area monetaria o continentale si muove in modo reciprocamente competitivo, sviluppando altra capacità produttiva in eccesso e cercando sfogo nella conquista di mercati altrui, in un confronto che ha per obiettivo la tenuta delle propria supremazia all’interno della grande e prolungata crisi economica. I differenti poli capitalisti stanno cercando di costruire delle aree monetarie, commerciali e politiche tra loro contrapposte per preservare e consolidare il proprio modello di accumulazione. A volte intessendo una relazione non lineare ma contraddittoria, segnata perlopiù da un rapporto di competizione e di collaborazione (come quello tra la Unione europea e gli Usa), a volte invece, esprimendo un’ostilità manifesta e dichiarata.

Contro la guerra senza ambiguità.
Ogni conflitto armato secerne la malapianta del nazionalismo. L’inizio del conflitto è stato annunciato da un’allegoria speculare tesa a rinfocolare il patriottismo. Putin ha giustificato l’intervento militare in Ucraina avendo alle spalle l’aquila bicipite dei Romanov, quella che
simboleggia lo sciovinismo grande russo, uno stendardo raffigurante un San Giorgio che infilza il drago; mentre a Kiev proprio in quei momenti, davanti ai palazzi del potere, appariva un’identica icona del santo guerriero, che al posto di trafiggere il consueto rettile uccideva invece un’aquila a due teste: l’aquila di Putin. La guerra imperialista alimenta così anche una serie di simbologie che tendono a favorire miti ed identità che occultano le ragioni reali che l’hanno provocata. Opporsi ad ogni nazionalismo, rifiutando ogni schieramento di campo, diventa dunque un elemento fondamentale per qualificare una efficace mobilitazione contro la guerra e il militarismo. Soprattutto, quando, come in Ucraina si sviluppa una dinamica di crescente attrito tra i diversi imperialismi che stanno tentando di comporre il loro mosaico di alleanze. Oggi non vi è un campo da difendere, non vi è un contrappeso da far valere contro l’atlantismo come alcuni settori stalinisti suggeriscono, ma c’è invece la necessità di lottare a fianco dei lavoratori di ogni paese, affinché le lotte che si sviluppano, si congiungano in un grande movimento teso a contrastare quelle politiche di guerra e di miseria che le classi dominanti stanno riservando alle classi subalterne di tutto il mondo. Lo sviluppo, la crescita e l’unificazione delle istanze classiste e rivoluzionarie, che si muovono sul terreno internazionale, è il miglior antidoto per contrastare le dinamiche di guerra che si stanno profilando all’orizzonte.

Contro la guerra per una prospettiva anticapitalista.
Davanti a una guerra che si sviluppa nel quadro della grande e prolungata crisi capitalista occorre avere una posizione chiara e ferma. Tanto più oggi, mentre tornano a soffiare i più classici venti di guerra, con un rullar di tamburi che risuona in Europa non come artificio retorico, ma come reale, angosciante minaccia, va superata la confusione e l’impotenza che ha finora contraddistinto il movimento per la pace. Va superata l’illusione di affidare alle grandi organizzazioni internazionali un ruolo attivo per fermare o prevenire le guerre e i conflitti armati. Così come va superata quell’impostazione che concepisce la lotta contro la guerra come un scontro tra valori e disvalori. Oggi la dinamica che porta allo scontro armato si sviluppa dentro la tendenza complessiva (non solo europea ma mondiale) al rafforzamento degli esecutivi, alla repressione del conflitto sociale e del dissenso, alla riduzione drastica degli spazi di partecipazione, alla negazione della mobilità dei migranti, alla radicale precarizzazione del lavoro subordinato, al dilagare dell’ossessione securitaria, alla crescente militarizzazione. Per questo è fondamentale lavorare affinché si saldino tra di loro i diversi fronti di lotta; affinché si riformi una diffusa coscienza di classe, premessa necessaria per costruire un’alternativa alla guerra, allo sfruttamento del lavoro, alle crescenti diseguaglianze, al degrado della biosfera, all’oppressione di genere, al decadimento della democrazia e della libertà.

Di fronte a questa guerra, che rappresenta il contrasto di imperialismi contrapposti tra loro, ma uniti nello schiacciare i rispettivi ceti popolari, c’è l’assoluto bisogno di mettere in campo una proposta politica chiara in grado di qualificare le mobilitazioni in corso: opposizione alla guerra e ai suoi proponenti, scioglimento della Nato e dei blocchi militari, rilancio dell’internazionalismo proletario, disfattismo rivoluzionario. In Russia, come in Ucraina, in Europa come negli Stati Uniti va rilanciata la lotta e la rivolta sociale contro la guerra imperialista e il militarismo.

 

Associazione Marxista Rivoluzionaria CONTROVENTO.

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