di t.b.

[Pubblicato in “Bandiera rossa” n. 9, 9 marzo 1980, p. 9]

Da quando è in carica il governo Cossiga ha messo in campo, in materia di politica energetica, tutta una serie di misure ed iniziative – decreti-legge, disegni di legge, delibere del CIPE e del CIP, proposte alle organizzazioni sindacali e alle camere – che rispondono tutte però ad un’unica idea di fondo: i problemi energetici vanno affrontati togliendo soldi ai consumatori, cioè ai lavoratori che ne sono la stragrande maggioranza, e chiedendo sacrifici; finanziando invece padroni e accettando per buoni i loro programmi.

Abbiamo avuto a metà settembre i decreti-legge che hanno aumentato una prima volta il prezzo della benzina e del gasolio e stabilito il razionamento invernale del riscaldamento.

A fine dicembre la crisi petrolifera creata artificialmente dalle compagnie è stata il pretesto per un nuovo aumento dei prezzi dei prodotti petroliferi e per stabilire un nuovo criterio di determinazione dei prezzi stessi che riconosce oggi ai petrolieri sul mercato italiano le condizioni più remunerative d’Europa. Insieme sono state aumentate le bollette della luce e del telefono portando il costo della stangata a circa 3.500 miliardi (1.200 per l’aumento del gasolio, 550 per quello della benzina, 521 per il telefono e 1.000 miliardi per gli aumenti della luce). Sempre in quell’occasione il governo ha stabilto per decreto la costruzione (e le relative localizzazioni) di 3 centrali turbogas e di 3 megacentrali a carbone (queste ultime previste a Gioia Tauro, a Taranto e presso Pavia), tutte estremamente inquinanti, senza consultare gli enti locali e studiare i problemi ambientali che avrebbero posto.

Nello stesso periodo ha varato un disegno di legge che prevedeva l’elargizione nel corso di quest’anno di 743 miliardi ai privati con il pretesto di incentivare il risparmio nei consumi industriali e civili di energia e l’utilizzo delle fonti rinnovabili.

Ai primi di gennaio il CIPE ha approvato il piano decennale dell’ENEL che prevede la costruzione di 10.000 megawatt di centrali nucleari, un affare colossale per l’industria elettro-meccanica-nucleare. Con un altro provvedimento, in discussione in questi giorni, il governo ha deciso di finanziare con 3.000 miliardi il fondo di dotazione del l’ENEL per il periodo 1980-83.

Completano il quadro le proposte, avanzate a più riprese, di completa liberalizzazione dei prezzi della benzina e de gasolio (che non sarebbero più “amministrati” cioè controllati dal governo; in questo modo non ci sarebbe la necessità di discutere in Parlamento gli aumenti, che sarebbero decisi direttamente dalle compagnie) e d i sterilizzazione della scala mobile (non sarebbero più conteggiati gli effetti sull’inflazione degli aumenti dei prezzi petroliferi: un primo passo per smantellare la scala mobile).

In queste settimane tutta questa frenesia del governo è giunta, dopo innumerevoli travagli, alla scadenza del confronto parlamentare. In primo luogo era ed è all’ordine del giorno la traduzione in legge dei decreti, pena la loro decadenza. Alcuni di questi (quelli di settembre) sono arrivati alla loro terza proroga. Il momento giusto per verificare la consistenza delle molte critiche sollevate dai partiti operai e dalle organizzazioni sindacali contro queste misure così duramente antioperaie e antipopolari.

Ma la storia che si sta svolgendo sotto i nostri occhi non promette nulla di buono. L’opposizione dei partiti di sinistra è riuscita a indurre il governo a lasciar cadere vari decreti-legge e a ripresentarli, emendati, nella forma di disegni di legge che tenessero conto delle critiche del PCI e del PSI. Ma nessuno ha avuto il coraggio di opporsi agli aumenti già decisi e in vigore, in certi casi, da quasi sei mesi; nessuno ha contestato sul serio la politica dell’energia del governo reclamando la necessita di sottrarre tutto il settore alla legge del profitto attraverso la nazionalizzazione senza indennizzo, per farlo funzionare sulla base dei bisogni delle masse.

Anzi, nessuno ha seriamente protestato neppure per lo scandaloso salvataggio del petroliere Monti con i soldi pubblici, attraverso l’acquisto sopravvalutato della MACH da parte dell’ENI.

Al tempo stesso nessuno ha voluto seriamente porre il bastone tra le ruote al piano nucleare del governo. Per motivi preelettorali le regioni, comprese quelle rosse, hanno dato al governo, nella riunione del CIPE di fine febbraio, delle risposte evasive ma non negative, tutt’altro: il risultato vero di quell’incontro è stato: il CNEN e l’ENEL vadano pure avanti nella ricerca dei siti per le centrali, con un po’ di cautela.

E’ assolutamente necessario che questa storia non vada avanti. Tutti i lavoratori sono interessati a che il PCI, il PSI e le organizzazioni sindacali si oppongano alla politica del governo. La forza per fermare Cossiga c’è nel Paese, nelle fabbriche (come ha dimostrato lo sciopero generale del 15 gennaio) e c’è anche nei rapporti di forza parlamentari. Bisogna fare in modo che venga usata e subito.

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