La dichiarazione di Matzpen del 18 maggio 1967

Nel maggio 1967 questa dichiarazione fu portata ad un incontro pubblico a Parigi, promosso da organizzazioni studentesche arabe e palestinesi, da Matzpen [in ebraico מצפן‎, Bussola]. Questa formazione [più esattamente l’Organizzazione socialista in Israele, ISO] prende il nome con cui è internazionalmente conosciuta dalla sua rivista e si formò nel 1962 dal Partito Comunista [Maki]. Alcuni compagni/e di origine ebraica e palestinese si opposero all’impostazione stalinista e alla politica sionista allora seguita dal PC, a partire dal documento Shalom, Shalom ve’ein Shalom [Pace, Pace, quando non c’è pace, 1961] e quindi fondarono questa organizzazione antisionista israeliana [qui potete documenti e materiali, in inglese].
L’incontro del maggio 1967, e quindi la dichiarazione di Matzpen, fu ripreso da Le Monde il 20 maggio 1967. Erano settimane cruciali. Qualche settimana prima Nasser (il presidente nazionalista egiziano) fu avvertito dall’URSS dell’afflusso di truppe israeliane al confine, ammassò quindi il proprio esercito nel Sinai (16 maggio), espulse le truppe UNEF (Forza di emergenza delle Nazioni Unite) da Gaza e dal Sinai (19 maggio) e occupò le loro posizioni a Sharm el-Sheikh e sugli stretti di Tiran. Il 22/23 maggio chiuse lo stretto di Suez alle navi israeliane, stringendo quindi accordi militari con Giordania e Iraq. Il 1º giugno, Israele formò un governo di unità nazionale e il 5 giugno Israele aprì quella che sarebbe passata alla storia come la guerra dei 6 giorni, occupando Gaza, il Sinai, Gerusalemme, Hebron, l’intera Cisgiordania e infine le alture del Golan.
La dichiarazione, cioè, traccio una posizione politica di fondo per l’autodeterminazione del popolo palestinese e la de-sionizzazione di Israele proprio alla vigilia dell’Occupazione dei Territori palestinesi, che in forma diverse perdura sino ad oggi. Una posizione che ancor oggi possiamo valutare un utile bussola per orientarci nel conflitto israelo-palestinese, mantenendo inalterato il suo sostanziale valore politico a distanza di oltre 56 anni.
Per questo, in questi giorni tremendi di guerra, in questi tempi tragici di confusione, come altri riteniamo utile ripubblicarla.

Questo mese ricorre il diciannovesimo anniversario della creazione dello Stato di Israele. In questi diciannove anni la questione israelo-araba non si è avvicinata a una soluzione. Il problema della Palestina è ancora una ferita aperta nel corpo del Medio Oriente; una fonte incessante di spargimento di sangue, sofferenza e torti; un pesante fardello sulle risorse economiche della regione; un pretesto per l’aggressione imperialista e l’intervento militare; una grave minaccia per la pace mondiale.

Particolarmente grave è la condizione degli arabi palestinesi, vittime dirette della guerra del 1948 e della collusione tra i “nemici amici”, Ben-Gurion e Abdullah. La maggior parte degli arabi di Palestina è stata espropriata delle proprie case e dei propri campi durante e dopo la guerra del 1948 e da allora vive come rifugiata, in condizioni di sofferenza e angoscia, fuori da Israele. I leader di Israele rifiutano categoricamente di riconoscere il loro diritto elementare al rimpatrio. Gli arabi rimasti in Israele sono vittime di una grave oppressione economica, civile e nazionale.

In questi diciannove anni, Israele è stato come un’isola nel Medio Oriente, uno Stato indipendente solo in senso formale, dipendente economicamente e politicamente dalle potenze imperialiste, in particolare dagli Stati Uniti. È sempre stato uno strumento di queste potenze contro la nazione araba, contro le forze progressiste del mondo arabo. La manifestazione più evidente (ma non l’unica) di questo ruolo della politica ufficiale israeliana è stata nel 1956, quando il governo israeliano si è unito all’imperialismo anglo-francese in una coalizione aggressiva contro l’Egitto, fornendo addirittura a queste potenze un pretesto per un intervento militare.

Lo stato di guerra e di ostilità tra Israele e i suoi vicini arabi continua da diciannove anni e la leadership sionista di Israele non ha alcuna prospettiva di cambiare questa situazione. La politica israeliana è in un vicolo cieco. L’attuale crisi economica in Israele, che ha causato una grave disoccupazione dei lavoratori e grandi difficoltà alle masse popolari, serve anche a sottolineare il fatto che Israele non può continuare ad esistere a lungo nella sua forma attuale, come Stato sionista, tagliato fuori dalla regione in cui si trova. Lo stato attuale delle cose è quindi contrario agli interessi delle masse arabe: Israele, nella sua forma attuale, costituisce un grave ostacolo per la lotta di queste masse contro l’imperialismo e per l’unità araba socialista. La continuazione dell’attuale stato di cose è anche contro gli interessi delle masse israeliane.

L’Organizzazione socialista in Israele, nelle cui file sono presenti sia arabi che ebrei, ritiene che il problema della Palestina e la questione arabo-israeliana possano e debbano essere risolti in modo socialista e internazionalista, tenendo conto delle caratteristiche uniche di questo complesso problema. Non si tratta di un normale conflitto tra due nazioni. Non è quindi sufficiente chiedere una coesistenza basata sul reciproco riconoscimento dei giusti diritti nazionali dei due popoli.

Lo Stato di Israele è il risultato della colonizzazione della Palestina da parte del movimento sionista, a spese del popolo arabo e sotto gli auspici dell’imperialismo. Nella sua attuale forma sionista, Israele è anche uno strumento per la continuazione dell’”impresa sionista”. Il mondo arabo non può accettare l’esistenza in mezzo a sé di uno Stato sionista, il cui scopo dichiarato non è quello di servire come espressione politica della propria popolazione, ma come testa di ponte, strumento politico e destinazione per l’immigrazione degli ebrei in tutto il mondo. Il carattere sionista di Israele è anche contrario ai veri interessi delle masse israeliane, perché significa una costante dipendenza del Paese da forze esterne.

Riteniamo quindi che la soluzione del problema richieda la de-sionizzazione di Israele. Lo Stato di Israele deve subire un profondo cambiamento rivoluzionario che lo trasformi da Stato sionista (cioè, degli ebrei di tutto il mondo) in uno Stato socialista che rappresenti gli interessi delle masse che lo abitano. In particolare, la Legge del Ritorno (che concede ad ogni ebreo del mondo il diritto assoluto e automatico di immigrare in Israele e diventarne cittadino) deve essere abolita. Ogni richiesta di immigrazione in Israele sarà quindi decisa separatamente in base ai propri meriti, senza alcuna discriminazione di natura razziale o religiosa.

Il problema dei rifugiati arabi di Palestina è la parte più dolorosa della questione arabo-israeliana. Riteniamo quindi che ogni rifugiato che voglia tornare in Israele debba essere messo in condizione di farlo, ottenendo così una piena riabilitazione economica e sociale. I rifugiati che sceglieranno liberamente di non essere rimpatriati dovranno essere pienamente compensati per la perdita di proprietà e per la sofferenza personale che è stata loro causata. Inoltre, tutte le leggi e i regolamenti volti a discriminare e opprimere la popolazione araba di Israele e ad espropriarne le terre devono essere aboliti. Tutti gli espropri e i danni (alla terra, alla proprietà e alla persona) causati da queste leggi e regolamenti devono essere pienamente risarciti. La de-sionizzazione di Israele implica anche la fine della politica estera sionista, che è al servizio dell’imperialismo. Israele deve partecipare attivamente alla lotta degli arabi contro l’imperialismo e per la creazione di un’unità araba socialista.

La colonizzazione sionista della Palestina si differenzia per un aspetto fondamentale dalla colonizzazione di altri Paesi: Mentre in altri Paesi i coloni hanno fondato la loro economia sullo sfruttamento del lavoro degli abitanti indigeni, la colonizzazione della Palestina è stata realizzata attraverso la sostituzione e l’espulsione della popolazione indigena. Questo fatto ha causato una complicazione unica del problema della Palestina. Come risultato della colonizzazione sionista, in Palestina si è formata una nazione ebraica con caratteristiche nazionali proprie (lingua comune, economia separata, ecc.). Inoltre, questa nazione ha una struttura di classe capitalista: è divisa in sfruttatori e sfruttati, borghesia e proletariato. L’argomentazione che questa nazione si è formata artificialmente e a spese della popolazione araba autoctona non cambia il fatto che la nazione ebraica ora esiste. Sarebbe un errore disastroso ignorare questo fatto.

La soluzione del problema della Palestina non deve solo riparare al torto subito dagli arabi palestinesi, ma anche garantire il futuro nazionale delle masse ebraiche. Queste masse sono state portate in Palestina dal sionismo, ma non sono responsabili delle azioni del sionismo. Il tentativo di penalizzare i lavoratori e le masse popolari israeliane per le colpe del sionismo non può risolvere il problema palestinese, ma solo portare nuove disgrazie. I leader arabi nazionalisti che invocano una jihad per la liberazione della Palestina ignorano il fatto che anche se Israele venisse sconfitto militarmente e cessasse di esistere come Stato, la nazione ebraica continuerebbe a esistere. Se il problema dell’esistenza di questa nazione non verrà risolto correttamente, si ricreerà una situazione di pericoloso e prolungato conflitto nazionale, che causerà infiniti spargimenti di sangue e sofferenze e servirà da nuovo pretesto per l’intervento imperialista. Non è un caso che i leader che sostengono tale “soluzione” non siano nemmeno in grado di risolvere il problema curdo. Inoltre, bisogna comprendere che le masse israeliane non si libereranno dall’influenza del sionismo e non lotteranno contro di esso se le forze progressiste del mondo arabo non presenteranno loro una prospettiva di coesistenza senza oppressione nazionale. L’Organizzazione socialista in Israele ritiene quindi che una vera soluzione del problema della Palestina richieda il riconoscimento del diritto della nazione ebraica all’autodeterminazione.

Autodeterminazione non significa necessariamente separazione. Al contrario, riteniamo che un Paese piccolo e povero di risorse naturali come Israele non possa esistere come entità separata. Si trova di fronte a due sole alternative: continuare a dipendere da potenze straniere o integrarsi in un’unione regionale. Ne consegue che l’unica soluzione coerente con gli interessi delle masse arabe e israeliane è l’integrazione di Israele come unità in un’unione economica e politica del Medio Oriente, sulla base del socialismo. In questo quadro la nazione ebraica sarà in grado di svolgere la propria vita nazionale e culturale senza mettere in pericolo il mondo arabo e senza che gli arabi minaccino la sua esistenza. Le forze delle masse israeliane si uniranno a quelle delle masse arabe in una lotta comune per il progresso e la prosperità. Riteniamo quindi che il problema della Palestina – come altri problemi centrali del Medio Oriente – possa essere risolto solo nel quadro di un’unione mediorientale. L’analisi teorica e l’esperienza pratica dimostrano che l’unità araba può formarsi ed esistere in modo stabile solo se ha un carattere socialista. Si può quindi riassumere la soluzione che proponiamo con la formula: de-sionizzazione di Israele e sua integrazione in un’unione socialista mediorientale. Riteniamo che anche il problema del futuro politico degli arabi palestinesi debba essere risolto nel quadro sopra descritto.

Alcuni pensano che per giustizia sia necessaria l’istituzione di un’entità politica araba palestinese speciale. La nostra opinione è che la questione debba essere decisa dagli arabi palestinesi, senza interferenze esterne. Tuttavia, riteniamo che sarebbe un grave errore porre il problema del futuro politico degli arabi palestinesi separatamente e indipendentemente dalla questione dell’unione araba socialista. Attualmente gli arabi palestinesi sono nelle prime file della lotta per l’unità. Se si presentasse loro un obiettivo separato e dipendente, la causa dell’unità araba potrebbe subire gravi danni. Inoltre, la creazione di un piccolo Stato arabo separato non è coerente con gli interessi della nazione araba, compreso il popolo arabo palestinese. Riteniamo quindi che se gli arabi palestinesi decidono di creare un’entità politica propria, gli accordi politici e territoriali necessari dovrebbero essere presi nel quadro della creazione di un’unione socialista del Medio Oriente. I Paesi che oggi detengono parti del territorio palestinese – Israele, Giordania ed Egitto – dovrebbero contribuire in modo particolare a questa soluzione.

Invitiamo le forze socialiste rivoluzionarie dei Paesi arabi e di altri Paesi a prendere in considerazione il nostro programma e ad avviare un’ampia discussione per elaborare una posizione comune sui problemi del Medio Oriente.

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