Questo testo ha introdotto la discussione sulla guerra in Ucraina e la Grande Crisi all’assemblea generale di ControVento, 11 settembre 2022. Il dibattito ha evidenziato una sostanziale convergenza sull’analisi e sulle proposte che vi sono contenute. All’assemblea si è anche tenuto una discussione sulla situazione italiana e la situazione dell’Associazione  [Nella notte].

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Cinque ipotesi su dinamiche mondiali, tendenze di fase e nostri compiti

1. Una guerra imprevista e un impatto mondiale. In realtà il conflitto è iniziato nel 2014. Dopo che nell’inverno precedente Janukovyč non sottoscrisse adesione a UE e avviò un accordo economico con la Russia, Euromaidan (nov. 2013/feb. 2014) e l’occupazione della Crimea (27.2.14). La secessione delle repubbliche popolari (aprile 2014) ha aperto una guerra che in pochi mesi ha prodotto 1,5 milioni di sfollati e 15mila morti (10/11mila militari, 3/4mila civili). Da settembre 2014 regge un precario cessate il fuoco (accordi di Minsk I e II, impegni a statuto speciale per i due oblast), con un carsico conflitto di attrito sino al 2022. Pur al confine tra aree di influenza, pur con lo zampino di grandi potenze (USA e UE in Euromaidan, Russia in Crimea e Donbass), questa è rimasta una guerra di autodeterminazione, combattuta anche se non soprattutto da milizie e guardie nazionali (come in Jugoslavia nei primi anni ‘90). L’invasione del febbraio 2022 ha cambiato il quadro.

  • Ha determinato scontri massicci tra forze regolari, anche se limitate: 170/190 mila uomini i russi, 50mila le milizie del Donbass, 200mila l’esercito ucraino più 100.000 la guardia nazionale (a confronto, la battaglia di Kursk e l’avanzata sul Dnepr del 1943 ha coinvolto un corpo d’armata sovietico di circa 4 milioni di uomini).
  • Si confrontano due eserciti moderni ed equipaggiati: i combattimenti sono avvenuti con uso da entrambe le parti di grandi reparti di carri armati e artiglieria; operazioni di manovra e trincea, in mare (con l’affondamento di navi importanti come l’incrociatore Moskva) e in cielo (missili, droni, aerei e difese antiaeree).
  • L’invasione ha rivelato problemi: si può discutere a lungo se l’affondo su Kiev era diretto a far cadere il governo e rapida vittoria, o era una manovra elusiva per Donbass. In ogni caso si è visto impantanamento colonna settentrionale; perdita uomini e mezzi, incapacità circondare grosso dell’esercito ucraino nel Donbass (70mila uomini).
  • L’operazione aveva limiti evidenti: non c’era un buon rapporto di forza con difensori [3/1, 5/1, meglio 10/1]; Ucraina ha 40 mln di abitanti e 600mila km2 (quasi doppio Germania, più di Francia); in prima fase non c’era comando unificato russo né si è colta una strategia coordinata (errori altrettanto gravi di quelli in occupazione Usa dell’Iraq nel 2003).
  • Ci sono tre fronti principali: nord (Kiev, Sumy, Charchiv; in larga parte chiuso ad aprile), Donbass e sud (Mariupol, Zhaporizja, Cherson, Mykolaiv: in cui si coglie obbiettivo controllo mar Nero e direttrice Transnistria). Tre diversi corpi di invasione (organizzate in BGT), con comportamenti diversi (ried; calderoni; colpo di mano e tenuta).
  • È guerra logorante: mezzi. Al di là della nebbia della propaganda, le forze russe avrebbero perso tra 500 e 1000 mezzi corazzati e simili (30% abbandonato), un incrociatore, ampie riserve di munizioni. L’Ucraina avrebbe visto il sostanziale annullamento delle sue riserve (mezzi e munizioni) ed un’ampia distruzione infrastrutturale (circa 100 mld $).
  • È guerra logorante: uomini. Perdite russe intorno ai 20mila uomini (tra 2mila e 40mila); perdite militari ucraine tra 15 e 20mila (in Iraq erano 37mila insorgenti, di cui 11 esercito, 25mila alleati di cui 5.000 USA e dintorni). Civili intorno a 5mila (relativamente ridotte, vedi Donbass e 100mila Iraq). Sfollati interni circa 6 mln, in EU circa 10/12 mln.
  • Vi ha ruolo la NATO: Ucraina ha tenuto il fronte prime settimane, poi ruolo alleati è cresciuto. Aiuti umanitari: 10 mld di € (USA 9 mld). Finanziari: oltre 30 mld (10 USA, 12 UE). Mezzi: oltre 35 mld (25 USA, 4 GB, 2,5 UE, quasi 2 Polonia), tra cui Himars, Stinger, Javelin, artiglieria, ecc. Supporto diretto: addestramento (GB e Pol), satelliti, intercettazioni, ecc
  • Sanzioni e guerra economica: USA; UE e alleati hanno applicato sanzioni senza precedenti (sport, finanza -SWIFT, commercio, collaborazioni produttive e persino ricerca). Calo PIL russo dato tra 8,5% (FMI) e 10% (WB), per ora tra 2,5 e 4% (Economist). Risposta Russa con guerra del gas (blocco Nordstream).
  • La guerra non ha visto immediata vittoria russa, ma il suo vantaggio strategico rimane: si combatte in Ucraina, sino ad oggi è la Russia che ha determinato operazioni, Ucraina è a 3a coscrizione (forse 4a in autunno) mentre Russia ancora nessuna, economia e società stanno per ora reggendo ad isolamento internazionale.
  • Una guerra di regimi: nonostante tutto, tengono. Ucraina ha retto, innescato onda nazionalista, controllo istituzioni e media, repressione dissenso e lavoro (leggi 5371 e 5161). C’è ampio sostegno, non resistenza autorganizzata, esercito e regime (anche perché cuore area operaia è sul fronte). In Russia lo stesso, con ancora consenso di massa per Putin.
  • Una guerra di lunga durata. Dinamica militare, sociale ed economica non delinea rapida conclusione conflitto. Guerre di questo tipo hanno spesso durate e dinamiche di 20/30 anni (Jugoslavia, Siria, Libia, ecc): qui le dinamiche internazionali potrebbero tenere aperto il conflitto anche per più tempo (vedi Coree).

2. Una guerra imperialista. Ogni guerra si compone più conflitti, che mutano nel tempo (vedi Mandel, Il significato della seconda guerra mondiale, ma anche Games of thrones). Il conflitto ucraino vede lotte di autodeterminazione (Ucraina/Russa e Donbass/Ucraina) e competizioni tra NATO/Russia, USA/Cina, USA/UE, Europa orientale e Germania, oltre che tra oligarchi, gruppi sociali e classi di quei territori. La guerra ha mantenuto sino a 2022 la prevalenza di componenti relative all’autodeterminazione, sebbene in una dinamica complessa (sostegni e interessi grandi potenze, popolazioni oppresse intrecciate). L’invasione rende dimensione imperialista dominante, segnata da diversi elementi.

  • Lo scontro avviene in un paese relativamente centrale, di notevoli dimensioni e popolazione, piattaforma di collegamento tra Asia e Centroeuropa, urbanizzato (con grande rete ferroviaria e centrali nucleari), tra i principali fornitori mondiali di grano, orzo e minerali (ferro, uranio, manganese, titanio), con un PIL ridotto (130 mld $, poco meno di Kuwait, Ungheria e Kazakistan) ma industrializzazioni significative (ammoniaca, turbine, difesa, acciaio).
  • La scomposizione dell’URSS ha determinato disastro per quasi un decennio (crolli PIL Russia 10% annuo sino a 1995, 5% annuo sino a 1998, con crescita 1,4% nel 1997), una transizione segnata da immense ruberie, distruzioni, nuovi robber barons provenienti da apparato Stato/Partito (oligarchi), crollo della speranza di vita.
  • Il capitalismo russo è oggi debole, più del suo ruolo di potenza. Questa formazione sociale ha evitato di diventare preda di altri imperialismi, come Cina nel 1800, per potenza militare (nucleare, spazio ed esercito), dimensioni (17 mln km², 11,5% superficie abitabile), risorse naturali. Sullo Stato si è costruito un blocco dominante militar-industriale e rentier (gas/petrolio), con PIL poco inferiore Italia (1600/1800 mld $, +/- come Brasile, Corea del Sud, Canada, Australia).
  • L’Ucraina è in sganciamento da sfera russa. Da 2014 cresce integrazione in mercato mondiale (interscambio da 98 a 170 mld $): partner più significativo UE (35% import/export, in particolare Polonia 7/8%, Germania 4% ex. e 9% im., Italia 4%), Cina (12% im., 15% ex), Turchia al 5/6%: Russia e Bielororussia solo al 7% ex e 15% imp. Investimenti diretti esteri diminuiscono (da 50 a 38 mld €), oltre 70% da UE, anche tendendo conto Cipro i capitali russi sono ridotti.
  • È in corso una strategia di espansione NATO: Europa orientale e caucasica oggetto da anni ’90 di neo containment, volto a continuare a tenere Russia out, Americans in, and Germans down [Hastings Ismay, primo segretario generale NATO]: 1997 Repubblica Ceca, Ungheria e Polonia; 2004 Bulgaria, baltici, Romania, Slovacchia e Slovenia; 2009 Albania e Croazia; 2017 Montenegro; 2020 Macedonia; regime change e/o proposte a Ucraina, Moldavia e Georgia.
  • La Russia ha profondità strategica della Cina, economica e militare. Nel 1996 è stata creata Organizzazione per la Cooperazione (Shangai, SCO), primo accordo dopo alleanza USA/Cina ’72, per controllo spazio ex-sovietico. Salto di qualità nel 2014 (un caso?), con storico accordo per gasdotto (2.200 Km, 400 mld $ in 30 anni) ed esercitazioni militari annue. Interscambio ridotto (140 mld $), più che raddoppiato da 2010 (Cina 18% commercio Russo; Russia 2% in Cina).
  • Dimensioni conflitto, suo impatto e durata, coinvolgimento diretto NATO e indiretto cinese, approfondiscono impronta interimperialista della guerra, non solo nelle dinamiche militari ed economiche dello scontro (armi e supporto NATO, sanzioni e conflitti commerciali), ma nelle conseguenze sul sistema mondiale (ridefinizione intese e blocchi).
  • NATO si estende e si consolida nel quadrante Europeo. Una sconfitta strategica per Putin è stato il rapidissimo passaggio di Svezia e Finlandia a NATO: Mar Baltico diventa mare altrui, si consolida inglobamento stati baltici, la NATO arriva al confine Russo (a 150 km da San Pietroburgo).
  • Si rompe unità euroasiatica: il conflitto ucraino, le sanzioni a Russia e le conseguenti guerre commerciali bloccano i gasdotti, la China-Europe Railway Express e gli investimenti relativi. A saltare non sono solo accordi commerciali e vie logistiche, ma Ostpolitik strategica Germania e Land Belt and Road Initiative cinese: la nuova cortina ha infatti tempi indeterminabili, spingendo a ridisegnare catene del valore, strategie commerciali e alleanze politiche.

In questo quadro, la vittoria di uno dei contendenti avrebbe conseguenze mondiali. A rafforzarsi sarebbe una prospettiva nazionalista e imperialista (una delle due contrapposte), che segnerebbe con la propria impronta gli eventi, senza aprire particolari dinamiche rivoluzionarie o anche solo sviluppi progressivi per la lotta di classe.

  • Una vittoria Ucraina rafforzerebbe il regime di Zelenskyj. L’organizzazione della classe uscirebbe devastata da guerra e sue divisioni (che segnerebbero a lungo le aree dove era più forte, come Donbass e porti), soffocata dalle retoriche di una comunità resistente, il ruolo del condottiero che non ha abbandonato Kiev, la rapida integrazione in UE (con relative politiche economiche e sociali). In Russia il regime probabilmente si sfascerebbe, con tendenze indipendentiste nella Federazione, movimenti revanscisti, pressioni giovanili e urbane per sviluppi liberaldemocratici (anche con illusioni di accedere a UE in Russia occidentale). Difficilmente si svilupperebbero spinte rivoluzionarie (stile 1904/05), che mancano di una classe lavoratrice coesa e organizzata [stante, nell’attuale dinamica ineguale e combinata, la prevalenza di un capitalismo militare e rentier]. Non aiuta la sostanziale marginalità di movimenti e partiti classisti, non diciamo rivoluzionari: in ogni caso, questo non è oggi l’ostacolo principale (come non lo fu nel 1905). Il rischio di riavviare processi di spartizione imperialista (come nei primi anni ’90 e anche peggio: Cina di inizio ‘900?) può però determinare da una parte il ricorso di Putin ad ogni strumento pur di prevalere (anche nucleare, con possibili escalation), dall’altra la possibilità che la NATO gestisca una vittoria controllata (Iraq 1991), cercando di contenere il collasso del paese. Questi esiti segnerebbero un rilancio (temporaneo) dell’egemonia USA (segnato da un profilo militare, con inevitabili derive politiche), un ventre molle al centro dell’Eurasia (impedendo ogni unità logistica/economica per un periodo indefinito), una nuova estensione UE ad oriente (con le attuali ambiguità e contraddizioni), l’isolamento della Cina con una possibile chiusura geografica del suo containment (anche se è probabile una sua influenza in Asia centrale e Russia orientale).
  • Una vittoria Russa determinerebbe la divisione dell’Ucraina sulla linea del Dnepr (al massimo) o più probabilmente del Donbass/costa marittima (le aree oggi occupate dall’esercito russo, più o meno allargate su confini difendibili). Sarebbe cioè improbabile un’assimilazione del paese, per dimensioni e sentimenti popolari. Il regime di Zelenskyj probabilmente crollerebbe, con possibili dinamiche indipendentiste (Leopoli e Volonia verso Polonia, Transcarpazia verso Ungheria), anche se probabilmente pressioni (e aiuti) UE/NATO reggerebbero un Ucraina occidentale in funzione di trincea e contenimento russo. Un Ucraina sconfitta ma sorretta dalla NATO (economicamente e militarmente), amputata dei suoi territori più industrializzati e forse dei suoi porti, con milioni di sfollati, in cui sarebbero angusti gli spazi per un’alternativa classista e rivoluzionaria. L’eventuale vittoria russa segnerebbe comunque il consolidamento di una confine militarizzato sull’Europa orientale, con una divisione del continente euroasiatico di lunga portata. Sul lato UE questo sosterrebbe tendenze federali, per una gestione energetica indipendente e un fronte orientale su cui sarebbero precipitati una parte dei suoi componenti (Polonia, Stati Baltici, Romania): questo acuirebbe le tensioni tra i suoi molteplici imperialismi, forse determinando ulteriori fratture (oltre la Brexit) o quel Nucleo federale immaginato dai circuiti conservatori tedeschi a metà anni ’90. Sul lato USA, si accentuerebbe il declino, da una parte incidendo nella politica interna (spinte isolazioniste), dall’altro moltiplicando le difficoltà del contenimento verso la Cina. La Russia, infatti, consoliderebbe regime e politica putiniana, sviluppando una nuova unità panrussa e un probabile sguardo asiatico (legami economici, commerciali, politici e militari con la Cina), con risvolti sul versante centrasiatico e artico. La Cina, infine, potrebbe rilanciare il suo ruolo mondiale, nel contempo determinando un’accelerazione delle tensioni e dei possibili attriti nel Pacifico.

3. Il quadro della competizione mondiale. La domanda è allora perché oggi? Cosa determina il salto di qualità da una guerra di autodeterminazione (pur sul confine tra aree di influenza) ad un conflitto sovradeterminato da dinamiche interimperialiste? O meglio, visto che questa guerra non si impone dal nulla, cosa ha portato adesso alla scelta russa di un’invasione su vasta scala? Il punto di svolta origina in realtà nella Grande recessione (2006/2009), l’esplosione di una Grande Crisi a lungo rimandata dalle controtendenze neoliberiste. Cioè, il punto basso di un’onda lunga, che non ha meccanismi endogeni di rilancio del ciclo se non con una massiva distruzione di capitale. L’attuale gestione neoliberista della crisi, radicalizzando le dinamiche fondanti questa crisi (divergenza tra produttività e profitti, pressione sui salari, debito e mercantilismo), acutizza la competizione tra i principali poli capitalistici, da una parte spingendo la concentrazione e quindi la concorrenza fra grandi imprese dominanti su mercati di riferimento, dall’altra incentivando politiche ordoliberali di sostegno ai proprio campioni nazionali/continentali. Questa fase è cioè segnata dalla formazione di aree di influenza privilegiate, in primi luogo commerciali e monetarie, in contrapposizione tra loro. In questo quadro, quindi, nell’ultimo decennio si sono determinati molteplici fattori che sono esitati nella crisi politica odierna.

  • Una scossa all’egemonia USA: la crisi 2008/09 ha eroso il Washington consensus, le sconfitte mediorientali hanno logorato il profilo di potenza, Trump ha minato la credibilità politica, la lunga espansione post-2009 (il più lungo periodo senza recessione dal dopoguerra) non ha ribilanciato gli squilibri mondiali. La presidenza Biden e la pandemia hanno quindi reso evidente l’incapacità di invertire queste tendenze, dall’Afghanistan all’asfissia dei suoi piani di rilancio.
  • La proiezione imperialista della Cina. Il suo sviluppo senza precedenti (per estensione e intensità) ha determinato una transizione capitalista (possiamo datarla al 2001, ingresso nel WTO) in continuità di regime (una rivoluzione passiva sospinta dalla dinamica ineguale e combinata, con uno Stato/Partito funzionale ai nuovi rapporti di produzione). Dopo il 2009 si sono quindi innescate tendenze imperialiste (XI Jinping e sogno cinese, riarmo e sviluppo flotta; basi all’estero a Gibuti e progettate in Guinea, Isole Salomone e Great Coco [Myanmar], Banca Asiatica-BIIA, Belt and Road Initivative).
  • La sospinge la sua strategia di accumulazione: produzione estensiva, bassi salari e investimenti anche oltre 50% PIL (ancora oggi oltre 40%, contro 20% altri paesi): immobiliare, alta velocità, infrastrutture, acciaio. La grande crisi ha rilanciato questa strategia con piani straordinari ed esportazioni capitali in cerca di valorizzazione (base strutturale di politiche imperialiste, Bucharin/Lenin). Questa dinamica ha rilanciato nazionalismo e nel XX congresso PCC (16.10.22) il rinnovo di XI Jinping, con la fine della rotazione decennale della leadership (presente da anni ‘80).
  • Ripiega la globalizzazione: la Grande Crisi arena la sua lunga cavalcata (commercio mondiale con tassi di crescita doppo o tripli su PIL), sostenuta da Banca Mondiale (McNamara, 1968/1981), asse USA/Cina (Kissinger 1972), Washington consensus, vittoria guerra fredda. La pandemia ha accelerato la dinamica (fragilità filiere transcontinentali), avviando reinternalizzazioni e accorciamento catene globali del valore nelle proprie sfere di influenza continentali.
  • Il multilateralismo è già una realtà: crisi egemonia USA, influenza cinese in Africa e Sudamerica, sviluppo India hanno già prodotto un equilibrio complesso che si regge su tre poli (USA, Cina e Ue, con il suo pluralismo), ma anche altri capitalismi (Giappone, Canada, Corea del Sud, Australia), alcuni in ascesa (India e Brasile). Le sanzioni a Russia lo hanno reso evidente: oggi sono attuate da USA, Ue, Canada, Giappone e Australia, non da Cina, India, Corea del sud, paesi mediorientali (Opec+) e Israele, Sudafrica, Messico e sudamericani. Così questo strumento è largamente aggirato.
  • In questo decennio si sono tessute direttrici di influenza. Gli USA hanno delineato il TTIP (TransAtlantic Free Trade Area, arenato nel 2016), il TPP (Trans-Pacific Partnership, 2015) e l’IPEF (Indo-Pacific Economic Framework, 2022). La Cina ha risposto con il RCEP (Regional Comprehensive Economic Partnership, 2022), oltre che con le nuove vie della seta marittime e terrestri. Tutti questi assi sono intessuti da numerosi accordi bilaterali. A questo si aggiungono due nuove alleanze politico-militari: il QUAD (Quadrilateral Security Dialogue tra USA, Australia, Giappone e India, 2017) e l’AUKUS (Australia, United Kingdom e USA; 2021). Russia e Cina hanno organizzato esercitazioni militari congiunte (Vostok e non solo), in cui hanno coinvolto Iran (2019 e 2022) ed India (2022), oltre numerosi paesi centroasiatici.
  • Il pluralismo europeo è in tensione. La competizione tra poli presenta oggi inedite profondità (NAFTA, Cina, India, con mercati di 500 mln/1 mld di persone; risorse e disugualità interne). Questo spinge mercato unico dei capitali (imprese continentali) e politica unitaria (bilancio, fisco, government ed esercito UE). Rimangono però molteplici imperialismi (RFT, Italia, Francia, Benelux, Spagna), diversità strategie e interessi: ristrutturazione produttiva continentale, proiezione mediterranea concorrente tra Italia e Francia; propensioni nazionaliste nelle periferie, Ostpolitik tedesca e contrarietà blocco orientale, politiche USA per UE lasca (e quindi subordinata) ed Eurasia divisa [strategia inglese ‘7/800 su Europa].
  • Non siamo alla terza guerra mondiale, neanche a pezzi. Oggi la Russia invade l’Ucraina usando le nuove profondità a disposizione, ma le dimensioni dell’operazione (forze in campo e perdite civili) rendono chiaro che non è una guerra totale [nonostante dichiarazione di Zelenskyj a Macron]. Nulla esclude, ovviamente, escalation per sconfitte o incidenti (centrali nucleari): oggi però il conflitto è perimetrato (si evita intervento NATO evidente o cessione sistemi d’arma impattanti). Sebbene la Grande Crisi spinga alla contrapposizione, contro una terza guerra mondiale concorrono diversi fattori: la diffusione di armi nucleari (oggi in 9 paesi, più un’altra decina che potrebbe rapidamente dotarsene), l’approssimazione delle aree di influenza, la fluidità delle alleanze, l’impreparazione militare (spese ancora al 2%, largamente inferiori a quelle della guerra fredda), la necessità di una strutturazione e mobilitazione sociale.
  • Siamo cioè in una fase di attrito imperialista. La competizione spinge a tessere aree di influenza, sviluppa propensioni nazionaliste, innesca dinamiche di mobilitazione. Queste tendenze sono accelerate da tipping points, punti critici di svolta, nel surriscaldamento globale e nel collasso ambientale (pandemia Covid-19). Si delinea il campo di un nuovo conflitto interimperialista, ma questo non precipita nell’immediato. Da una parte, tornano protagoniste guerre per procura, conflitti perimetrati che ci si sforza di tenere limitati anche se coinvolgono grandi potenze. Una dinamica pienamente rivelata oggi nel conflitto ucraino, ma che per certi versi si rintracciava già in Siria e Libia (guerre civili innescate dalle cosiddette rivoluzioni arabe con interventi USA, Russia, Francia, Turchia, Israele, Italia). Queste tendenze sottolineano la dinamica diseguale e combinata del capitalismo, che inquadra e sovradetermina ogni formazione sociale Dall’altra parte in tutte le diverse formazioni sociali si sviluppano processi che in-formano, preparano e strutturano un conflitto interimperialista: la crescita di movimenti reazionari e politiche nazionaliste, lo sviluppo di Stati che concentrano poteri di controllo di società ed economia, la definizione di alleanze e blocchi internazionali, l’identificazione sociale degli avversari (la guerra delle civiltà), il riarmo e anche percorsi di nazionalizzazione di massa.

4. Le sinistre, la classe e la guerra. L’invasione ha preso di sorpresa la quasi totalità delle sinistre, siano esse riformiste, centriste o rivoluzionarie. Nonostante sia stata annunciata dall’evidente preparazione politica e militare russa, nonostante il suo rischio abbia tenuto le prime pagine dei media per settimane, nessuno ne ha colto il potenziale profilo militare e politico. Nonostante la consapevolezza della Grande Crisi e dell’acutizzazione delle contraddizioni, nonostante i segnali delle guerre siriana e libica, nonostante il riarmo nel pacifico e gli scossoni in Africa (la ridefinizione delle influenze e l’intervento turco a difesa di Adis Abeba), il salto di qualità ad una fase di attrito imperialista è stata per molti imprevedibile [noi compresi] e per molti è ancora oggi invisibile. Questa sorpresa e impreparazione si intreccia con la disorganizzazione generale della classe e l’arretramento della coscienza politica in Europa: in qualche modo ha cioè contribuito, o comunque si è accompagnata, alla difficoltà a sviluppare una reazione di massa contro il conflitto in corso.

  • La guerra ha avuto un impatto di massa. Il conflitto è cioè entrato nella quotidianità dei paesi europei (e di molti del mondo), non solo da un punto di vista comunicativo ed astratto. Certo, anche questo ha pesato, soprattutto nelle prime settimane (l’ampia disponibilità di immagini, l’attenzione mediatica, la propaganda dei protagonisti). Però la guerra ha determinato anche conseguenze sulle condizioni di vita e quindi sull’agenda pubblica dei diversi paesi. Da una parte ha creato una crisi di materie prime (energia e alimentari), esacerbato la già presente inflazione, congelato il rimbalzo economico post-pandemico e sospinto le tendenze depressive. Dall’altra parte ha accelerato o determinato iniziative pubbliche: dall’aumento dei tassi di interesse al riarmo, modificando indirizzi e priorità nei diversi paesi.
  • La reazione popolare è stata confusa. L’impatto informativo ed emotivo delle prime settimane è stato significativo, determinando grandi mobilitazioni contro la guerra che hanno in parte riattivato reti dei primi anni 2000: le manifestazioni di Milano, Roma (più contenuta), Berlino o Londra, quella nazionale a Roma del 5 marzo. Questi cortei, come le tante iniziative diffuse, hanno visto ambiguità e componenti diverse, spesso all’inizio ancora fluide, con progressive fratture tra diverse propensioni, posizioni e schieramenti. In ogni caso, questa fase si è chiusa rapidamente, senza sedimentare (se non in modo molto limitato) attivazioni sociali, reti e comitati nei territori, appuntamenti nel paese.
  • La mobilitazione è stata marginale. Più la guerra è uscita da una generica dimensione informativa, più ha iniziato a comportare cambiamenti negli equilibri mondiali e nella vita delle masse, più il movimento contro la guerra si è inaridito. In Europa in generale, in Italia in particolare. La sua presenza è stata sostanzialmente inesistente nei cortei del 25 aprile o del primo maggio. Le mobilitazioni nei territori sono state limitate a avanguardie più o meno ampie, mentre gli scioperi sono stati rari. Lo sciopero generale dei sindacati conflittuali il 20 maggio (unitario dopo molti anni), pur con diffusi cortei militanti, ha visto un’adesione marginale (0,7%, 12mila persone nel pubblico impiego). L’estate non ha visto un cambio di passo. Una dinamica su cui ragionare, al di là della scomposizione in 4/5 diversi circuiti: le forze pacifiste radicali e disfattiste bilaterali; quelle che sostengono una supposta resistenza popolare ucraina e il diritto all’autodeterminazione; il pacifismo europeista, le forze altlantiste (con Zelenskyj); le forze campiste e simili che sostengono la Russia.
  • Il pacifismo radicale e il disfattismo bilaterale: in Italia, dopo le prime ampie e confuse iniziative, si è formata un’area contro l’invio di armi nel movimento pacifista e sindacale. Il pacifismo tradizionale, erede degli anni ‘30 e soprattutto ’90/00, si è trovato spiazzato dalla nuova contrapposizione tra potenze. Così ha delineato una posizione radicale, esemplificata dalla prima piattaforma della Rete per la pace con la richiesta di ritiro russo, la contrarietà all’allargamento NATO, il rifiuto all’invio di armi e l’appoggio a lavoratrici e lavoratori ucraini e russi che si oppongono alla guerra [cioè, contro entrambi gli schieramenti, per un disfattismo popolare]. Una posizione anche CGIL (pur responsabile del suo annacquamento), che ha tenuto quando la CISL ha sostenuto la cosiddetta resistenza ucraina. A questo pacifismo radicale, con un perimetro comunque limitato, si è aggiunta la sinistra riformista e centrista di opposizione (spesso ambigua), ma anche componenti classiste e internazionaliste: larga parte del sindacalismo conflittuale e delle sinistre CGIL, circuiti di matrice trotskista e bordighista (noi, Controcorrente, SCR, TIR), Lotta Comunista (protagonista dei pochi scioperi aziendali contro la guerra), settori anarchici e antagonisti, ma anche stalinisti di sinistra (come FGC/FC).
  • Internazionalismo per la resistenza ucraina: alcuni settori trotzkisti, in particolare PCL e Communia, poi Sinistra Anticapitalista (compresa la tendenza Bandiera Rossa), hanno assunto una posizione di sostegno alla resistenza ucraina, enfatizzando il suo profilo popolare e autorganizzato [?]. SA all’inizio aveva in realtà una posizione critica sull’orientamento del Segretariato Unificato (approvato per un voto); Bandiera Rossa aveva partecipato a dibattiti (anche con noi) con curvatore molto antirusse ma sostanzialmente corrette. Mentre diventava sempre più evidente il coinvolgimento NATO, paradossalmente hanno sempre più sostenuto il diritto di autodeterminazione ucraino. Sull’invio delle armi tenendo talvolta posizioni poco sostenibili (né aderire né sabotare, non votiamo ma non ci opponiamo, per la difesa ma non per l’attacco). Pur rimanendo posizione limitate, hanno indebolito una già difficile polarizzazione internazionalista e di classe, talvolta dando la sponda ad usi atlantisti (come un paio di interviste di Ferrando). Hanno comunque mantenuto posizioni generali antimperialiste, pur non cogliendo l’attuale dinamica di attrito.
  • Il pacifismo europeista. Alcune componenti, con l’approfondirsi della guerra hanno sviluppato posizioni europeiste. Cioè, hanno traslato sulla UE il ruolo che il pacifismo assegna tradizionalmente alla diplomazia sovranazionale, enfatizzando una sua presunta matrice pacifista e occultando il suo reale profilo (guerra fredda). Uno slittamento che, nella stagione di attrito in corso, sostiene il blocco europeo. Esemplificativo, da questo punto di vista, il documento congressuale CGIL [l’Ue deve dotarsi di una politica estera e, conseguentemente, di una politica di difesa comune, fondata sul concetto di sicurezza condivisa, ripartendo dalle finalità della conferenza di Helsinki per un’Europa di pace. Il multilateralismo e l’unica strada possibile ed è un’Europa sociale unita, autonoma, che può costruirlo e affermarlo].
  • Infine, ci sono le componenti imperialiste, atlantiste o campiste. Da una parte i settori che sostengono pienamente non solo la resistenza ucraina, ma l’invio delle armi, l’intervento NATO e il cosiddetto campo democratico contro le autocrazie (la Russia e sullo sfondo anche la Cina): PD, radicali, Italia Viva e Calenda, la CISL. Dall’altra, i settori stalinisti e non solo (USB, RdC, aree PRC e PCI, ma anche PaP e altri), che guardando solo al contrasto degli USA (e sullo sfondo individuando nella Cina ancora un paese a matrice socialista). Al fondo, sostengono il diritto russo alla reazione: nella difficoltà di schierarsi apertamente per l’invasione, questa posizione si declina oggi con un basso profilo, soprattutto su una sorta di controinformazione, spesso attingendo alla propaganda russa (vedi Sinistrainrete).
  • Inflazione e mobilitazione sociale. L’approfondirsi dello scontro internazionale, con la politica di sanzioni e la guerra del gas tra Russia e UE, ha reso sempre più evidente che… l’inverno sta arrivando. In Gran Bretagna hanno iniziato a svilupparsi scioperi contro il carovita (porti, Poste, ferrovieri e autisti di autobus, forse in estensione a istruzione e sanità). Scioperi che si sono visti anche in Francia (più ridotti, SNCF e Aéroports de Paris) e in Germania (Lufthansa e diversi giorni nelle ferrovie). Mentre a Praga si è tenuta una manifestazione di decine di migliaia di persone contro il governo di centrodestra, dietro l’ambiguo slogan Repubblica Ceca prima, per l’autosufficienza alimentare ed energetica, la ripresa delle forniture del gas russo, la neutralità del paese, l’indipendenza da Ue e Nato (al suo interno componenti eterogenee, comuniste e nazionaliste, anche di destra come Spd e Trikolora).

5. I nostri compiti: sviluppare l’antimperialismo. La configurazione di ControVento come laboratorio politico, le sue dimensioni molto limitate, la particolare situazione italiana (oggetto di riflessione in altro testo e discussione) rendono ovviamente molto circoscritte le possibilità di azione e, più in generale, il ruolo dell’AMR. In ogni caso, l’apertura di una stagione di attrito (le cui dinamiche e i cui tempi sono oggi indeterminabili) rende necessario porre tra le priorità il contrasto di questa dinamica imperialista, un disfattismo bilaterale e multilaterale, il rilancio dell’antimilitarismo, l’intervento contro ogni deriva nazionalistica e ogni sostegno a blocchi imperialisti. Una priorità che deve vivere nei nostri interventi, nel confronto con altre soggettività, nelle processi di polarizzazione, nelle discriminanti politiche di eventuali convergenze politiche e organizzative in questa fase, In questo quadro generale, si propongo quattro direttrici principali.

  • Stimolare o contribuire a iniziative di polarizzazione. Al di là delle radicalizzazioni di settori pacifisti, come abbiamo visto diverse componenti politiche e sindacali hanno assunto posizioni disfattiste, nel quadro di analisi e impostazioni diverse. Il problema è che queste realtà si muovono spesso parallelamente, senza far massa critica, incidendo poco al di là dei propri perimetri di riferimento (più o meno limitati), sia sul terreno dell’analisi e dell’informazione, sia su quello dell’intervento. È quindi utile, pur con le nostre piccole forze, cercare di incoraggiare occasioni di confronto e mobilitazione internazionaliste e classiste. Oltre al rapporto con Controcorrente, da approfondire, è possibile che si sviluppino iniziative sia da Lotta Comunista, sia dal piccolo fronte anticapitalista intorno a TIR (conferenza annunciata a giugno), sia da forze anarchiche e antagoniste: è utile allora attraversarle tutte e valutare possibili convergenze.
  • Verificare un percorso europeo. La posizione del Segretariato Unificato e l’iniziativa di Madrid (Manifesto per la pace di Podemos, Correa, Sinistra europea, Corbyn, De Magistris), nel quadro di mobilitazioni nazionalista in tutta l’Europa centrale e orientale, rendono organizzate e visibili solo le posizioni a sostegno della resistenza ucraina o quelle riformiste e unionpopolari, paradossalmente più arretrate del pacifismo radicale e che si inquadrano sostanzialmente nell’impianto pacifista classico (anche per la presenza nel governo di Podemos). In questo quadro, sarebbe utile che la Tendenza TIR del SU assumesse un ruolo più proattivo (come forse emerso ad agosto), convocando un’iniziativa insieme alla sinistra internazionalista francese (Lotte ouvrière e altri): su questo proveremo se possibile a contribuire.
  • Infine, nel quadro di una stagione imperialista di attrito, si ritiene utile focalizzare e approfondire due temi (con seminari, elaborazione materiali, confronti e interventi). Da una parte la sviluppo ineguale e combinato (cioè il quadro unitario del capitalismo contemporaneo, in cui ogni formazione sociale si inserisce in una gerarchia internazionale che ne segna le dinamiche, in particolare in fase di competizione interimperialista, che è oggi il modo di funzionamento di tutto il sistema capitalista, come segnalato recentemente da Controcorrente). Dall’alta parte lo sviluppo capitalista della Cina e le sue propensioni imperialista: come abbiamo visto, il salto di qualità russo non si sarebbe determinato senza la profondità cinese e la sua nuova propensione internazionale; in ogni caso, sempre più la prossima stagione sarà segnata dal protagonismo economico, politico e militare cinese, che già oggi emerge sullo sfondo nelle tendenze campiste o blocchiste che si stanno sviluppando. Quindi, proprio nel quadro dello sviluppo ineguale e combinato, è utile in particolare sottolineare il crescente ruolo imperialista cinese.

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