ANTIFASCISTA, ANTINAZIONALISTA E CONTRO LA GUERRA

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Ogni guerra è molteplice, come ogni resistenza. Così, la resistenza italiana nel corso della seconda guerra mondiale ha contenuto in sé diverse matrici, componenti e progetti: la resistenza nazionale contro l’invasore straniero, la resistenza democratica contro il campo nazifascista, la resistenza della classe lavoratrice contro la bancarotta delle classi dirigenti del paese, la guerra imperialista e questo modo di produzione. Nella resistenza italiana sono cioè convissute diverse anime che guardavano alla sconfitta dell’Asse, alla costruzione della Repubblica o ad una trasformazione più complessiva, cercando di far trascrescere la guerra partigiana in rivoluzione sociale.

Il PCdI e poi il PCI (in una prospettiva campista definita dalla direzione burocratica dell’URSS e nello sviluppo togliattiano di una strategia progressiva), con il sostegno al governo Badoglio e al CNL ha segnato le dinamiche della resistenza e quindi la sua ricostruzione storica. Per decenni nel quadro dei governi DC, della via italiana al socialismo (VIII congresso, 1956), del compromesso storico (coi governi di unità nazionale ì76/’79) e della terza fase del socialismo (CC gennaio 1982, terza via nel XVI congresso) si è imposta una ricostruzione nazionaldemocratica della resistenza (sino a sostituire i fazzoletti rossi con quelli tricolore nel corteo del  ventennale a Milano, sino a promuovere nei decenni successivi Bella ciao e il suo mattino con l’invasor al posto di Fischia il vento e la sua rossa primavera). Per decenni cioè le componenti e le vicende che portavano un’impronta classista o rivoluzionaria furono ridimensionate, circoscritte o nascoste (dagli scioperi del 1943 al ruolo di Bandiera rossa nella resistenza romana), arrivando a riconoscere l’esistenza stessa di una guerra civile solo con gli anni ottanta. La nostra resistenza, quella a cui ci colleghiamo e con cui vogliamo tessere un filo, è invece proprio quella che nelle aspirazioni e nella lotta di lavoratori e lavoratrici, partigiani e partigiane, guardava soprattutto alla trasformazione dei rapporti di produzione, ad una rivoluzione non solo politica ma anche sociale.

Oggi, in questo 25 aprile, a dominare è il conflitto ucraino. Una guerra molteplice che, come tutte, contiene diversi conflitti: l’autodeterminazione del Donbass e della Crimea, l’indipendenza ucraina dalla Russia e dalla sua sfera di influenza, lo scontro tra Russia e Nato, la definizione del limes e della sfera di influenza UE, il contrasto tra USA e Cina. Al centro di questa guerra c’è la brutale invasione russa: una guerra di occupazione di un imperialismo di rendita, sostenuto dai residui dell’apparato militar-industriale sovietico. A dominare però le dinamiche politiche e militari di questo conflitto è invece il contrasto tra imperialismi (come si è visto nei colloqui prima del 24 febbraio, nelle trattative di queste settimane, nelle strategie sul proseguo della guerra, che hanno al centro l’adesione alla UE, l’allargamento della NATO, la neutralità del paese, la collocazione dell’Ucraina nelle diverse sfere di influenza).

Per questo abbiamo assunto una posizione disfattista e antimilitarista. Contro la guerra, l’invasione di Putin, l’invio delle armi, le sanzioni alla Russia, l’intervento e l’allargamento della NATO. Contro questa crescente competizione tra poli, sospinta dalla Grande crisi e dalle attuali tendenze capitaliste. Una dinamica che in Russia e in Ucraina, come in Italia e in tutta Europa, sorregge una nuova militarizzazione economica e sociale, lo sviluppo di nuovi nazionalismi e revanscismi, movimenti reazionari e processi di nazionalizzazione di massa. Lo vediamo nel clima bastardo di questi mesi, nell’attacco ANPI, in questo stesso 25 aprile con le bandiere della NATO, i colori dell’Ucraina, il sostegno all’intervento militare e all’invio di armi nel conflitto.

Ieri come oggi, la nostra scelta è contro la guerra, disertando gli opposti nazionalismi, per una resistenza di classe, una prospettiva rivoluzionaria, una transizione socialista.

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