Chimneys

La città dei due mari meglio conosciuta come la città dell’acciaio è nota alle cronache in quanto è una delle citta’ maggiormente inquinate al mondo.
Una città operaia in cui e’ presente il più grande centro siderurgico d’Europa.
Per dare qualche numero sia sull’occupazione sia sull’inquinamento:
13mila dipendenti, più 4mila di indotto, una produzione fino a 30mila tonnellate al giorno, l’Ilva è la prima acciaieria d’Europa. Quasi milleduecento morti l’anno, cancro, e uno stabilimento a cui nel 2006, quando è cominciata la battaglia, era riconducibile sul totale italiano il 96 percento degli idrocarburi policiclici aromatici, il 92 percento delle diossine, l’85 percento dell’ossido di carbonio, l’85 percento del piombo. Il 68 percento del mercurio, bandito anche dai termometri ma sversato nel mare di Taranto per oltre due tonnellate l’anno. Un anno in cui ognuno dei circa 210mila abitanti, qui, incamera 2,7 tonnellate tra monossido di carbonio, benzene, ossido di zolfo. Ogni giorno ogni bambino, respirando, fuma l’equivalente di 2,14 sigarette.
Prima di ragionare sulle questioni ambiente-lavoro, è necessario far un passo indietro e capire come Taranto da città che viveva da e per il mare e la terra è diventata una città siderurgica.
Gli anni successivi all’unità d’Italia la vedono consegnata a piene mani alla Marina Militare ed al Ministero della guerra, che danno il via alla costruzione della città nuova.
Questo segnerà definitivamente la dipendenza economica ed industriale della città ai militari. Tutta la città nuova, attuale borgo del centro, fu costruita attorno all’Arsenale.
Molto di questa militarizzazione è ancora visibile oggi, anzi sempre più ampio e diffuso è il controllo di zone tolte ai tarantini e difatti militarizzate. Un ‘esempio su tutti il nuovo porto militare che occupa km e km di costa Jonica e dove ci sono, oltre alle Navi Militari della Marina Italiana anche le Navi Nato con i sommergibili nucleari.
Oltre alla militarizzazione anche lo sfruttamento dell’ambiente questo sempre a scapito dei cittadini ma è proprio questo uno degli elementi essenziali del capitalismo: sfruttare uomini e territorio fino all’esaurimento con il solo scopo di aumentare i propri profitti.
Accanto allo sviluppo dell’Arsenale e dei cantieri navali, subito dopo la seconda guerra mondiale si avviò il procedimento per la costruzione di un grande centro siderurgico in Puglia. Uno dei siti proposti fu proprio Taranto, su questa scelta pesarono molto le decisioni della Democrazia Cristiana locale e nazionale che spingeva affinché Taranto fosse scelta sia per questioni geografiche: la vicinanza al mare sia per presunte questioni economiche: furono portate avanti false battaglie in difesa della pseudo povertà della città dei due mari. Per chi conosce la storia di Taranto sa che si è trattata di una vera e propria bufala. La città era uscita dalla seconda guerra mondiale, molto meglio di altre città pugliesi come Bari, Brindisi o Lecce. Taranto, infatti, fu una delle poche città industriali italiane uscite dal secondo conflitto mondiale con l’apparato industriale intatto e con una serie di progetti concreti ed anche per certi versi all’avanguardia. Già nel 1952 furono presentati vari progetti di riconversione dei cantieri navali militari in Nautica di diporto e mercantile, con il progetto di fare di Taranto la capitale della fiera mercantile italiana.
Accanto a tale progetto vi erano una serie di altre iniziate: dalle cooperative agricole, a quelle legate alla pesca fino ai trasporti che vedevano la classe operaia all’avanguardia. Tutti questi progetti ed iniziative furono distrutti e smantellati dal duo Marina ed Italsider, questa ultima venne costruita tra la fine degli anni ’50 ed i primi anni’60, sotto l’attenta regia democristiana.
A questo si devono accompagnare tutte una serie di progetti urbanistici che hanno parzialmente distrutto il patrimonio culturale, archeologico di quella che fu la capitale della Magna Grecia. In questo quadro si inserisce il fallimento della costruzione del più lungo Lungomare al mondo che partendo dal Ponte Girevole sarebbe arrivato fino al Faro di San Vito, all’incirca 15 KM! I colpevoli dello scempio urbanistico vanno dalla Dc al Psi fino alla destra. Lo stabilimento fu costruito in soli 5 anni dal 1960 al 1965 senza grossi dissensi, eccezion fatta per alcuni esponenti locali del Pci ma non dalla direzione locale del partito. Nel 1978 sulle pagine della Gazzetta del Mezzogiorno veniva pubblicata una prima inchiesta sull’inquinamento e l’anno seguente furono installate 5 stazioni di rilevamento. Nel 1982 fu emessa la prima condanna contro il direttore dell’Italsider per getto pericoloso Il sindaco dell’epoca, esponente del Pci, Cannata inaugurò la tradizione per cui gli enti locali si sono poi sempre ritirati dalla parte civile nei processi. Fu creato questo Fondo d’Impatto Ambientale che non ha portato risultati tangibili. Gli anni ’80 e 90 sono segnati dalla crisi dell’acciaio e della siderurgia italiana, sono gli anni in cui la competitività dei mercati mondiali va a vantaggio delle acciaierie sud americane e dell’Est Europa, queste ultime soprattutto dopo la caduta del muro di Berlino. Sono gli anni in cui la città deve fare i conti con cassintegrazione, disoccupazione e la fine della siderurgia di Stato, quando nel 1995 l’impianto viene acquistato dal gruppo Riva.
Lo stesso Riva si pone subito l’obiettivo di cambiare la “vecchia” classe operaia utilizzando i finanziamenti europei per ristrutturare i processi produttivi in siderurgia. Arrivano grandi flussi di denaro che vengono indirizzati verso i maggiori Paesi produttori di acciaio, e furono utilizzati per incentivare le uscite dei lavoratori verso il pensionamento. Contemporaneamente iniziano le assunzioni di giovani con i famigerati “Corsi di formazione/lavoro”. Allora, la linea delle tre federazioni Fim, Fiom e Uilm nei confronti dei giovani operai, inesperti e del tutto disarmati fu di rinuncia E così furono lasciati in balia dei dirigenti e dei capi, i quali utilizzarono il loro potere, ovviamente, contro le organizzazioni sindacali. Non è un caso che fra pensionamenti e mancate nuove iscrizioni il numero dei sindacalizzati crollò verticalmente.
Da un punto di vista politico sono anni pesantissimi; dopo l’egemonia del pentapartito con il susseguirsi di giunte socialiste e democristiane, nel 1993 viene eletto sindaco Giancarlo Cito, che diventerà noto alle cronache nazionali per il suo atteggiamento fascista e da sindaco sceriffo. E’ il periodo più buio dell’intera storia tarantina dalla seconda guerra mondiale ad oggi.
Quello che invece non cambia ma anzi continua ad essere trascurato è il problema dell’inquinamento. In molti quartieri limitrofi del centro siderurgico come i Tamburi e Paolo VI, le percentuali di polveri sottili, inquinanti sono in continuo aumento. Qualcosa però proprio sul finire degli anni ’90 in città comincia a muoversi. Una serie di ricerche, di studi scientifici cominciano a scoperchiare problematiche legate all’ambiente ed al territorio ionico. Tutto questo però si riduce alla semplice denuncia ed alla scelta: o il lavoro o l’ambiente e la salute dei cittadini. E’ proprio questo che ha portato il 30 Marzo 2012 in coincidenza con l’incidente probatorio contro la proprietà e alcuni massimi dirigenti Ilva, accusati di disastro colposo e doloso, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, danneggiamento aggravato di beni pubblici, getto e sversamento di sostanze pericolose ed inquinamento atmosferico.
Le stime pubblicate nel 2010 sui danni causati dall’Ilva, in circa 40 anni di attività sono 12000 morti per cause cardiovascolari e respiratorie, 30000 ricoveri per cause cardiache, respiratorie e cerebrovascolari(4000 ricoveri all’anno circa). Una vera e propria strage.
Ed ecco la data del 30 Marzo, in cui il padrone, così come già era successo per la Fiat nei primi anni 80 mobilita i lavoratori, non i cosiddetti colletti bianchi ma gli operai a manifestare sotto il Tribunale di Taranto. Una manifestazione massiccia in cui all’ambiente veniva contrapposto il lavoro, tradotto un ricatto, l’ennesimo di una nuova classe operaia poco sindacalizzata. Qui, a mio avviso non sono da contrapporre le questioni ambientali a quelle del lavoro ma cercare di trovare una soluzione a queste problematiche. Oggi sul mercato dell’impiantistica siderurgica ci sono tecnologie che superano il vecchio modo di fare acciaio, che riducano drasticamente le immissioni inquinanti. Questi impianti denominati “COREX” e “FINEX” sono già operanti in vari Paesi del mondo Possono essere delle soluzioni che superino quelle della sinterizzazione, che emettono diossina ed altri polveri sottili in aree abitate. Negli stabilimenti dove sono presenti processi di Corex e di Finex , in cui viene impiegato direttamente il minerale raffinato e la polvere di carbone, il forno di sinterizzazione e la cokeria non sono più necessarie e c’è una notevole riduzione dell’inquinamento: 90% in meno di sostanze tossico-nocive e 98% in meno di contaminazione dell’acqua, oltre a ridurre i costi di energia e di produzione.
Oggi più che mai dopo la sentenza del tribunale, non serve dividersi tra operai ed il resto della città. E’ necessario ricompattarsi perché’ i lavoratori sono i primi ad aver subito i danni di un inquinamento voluto dai padroni e dai politici da salotto, buoni solo a fare chiacchiere e null’altro.
Gli operai dell’Ilva hanno già pagato sulla propria pelle, e da tutti i versanti, i crimini del profitto: dalle morti sul lavoro ai casi di cancro in famiglia. E’ ora che paghino altri. Nessun posto di lavoro va toccato. La presenza industriale va salvaguardata, anche con la occupazione operaia della fabbrica.
Ovviamente per cambiare il modo di produrre servono investimenti ma ne ‘Riva, ne’ altri imprenditori di casa nostra sono disposti ad investire. L’unica cosa a cui sono interessanti è sfruttare operai e lavoratori. L’unica via di soluzione è la nazionalizzazione dell’Ilva di Taranto e di tutti i centri siderurgici italiani sotto controllo operaio. E’ necessario che si diffonda e si moltiplichi anche nella città dei due mari lo spirito del conflitto di classe attraverso la presa di coscienza che solo un governo dei lavoratori, a livello locale e nazionale può cambiare il corso della storia.

Fabrizio Montuori

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