di Tiziano Bagarolo

[Pubblicato su “Bandiera Rossa” n. 6 del 17 febbraio 1980]

Verdetto del tutto tranquillizzante: le centrali nucleari esistenti e in costruzione in Italia sono sicure; le misure di sicurezza e di protezione sono conformi al migliori standard internazionali; sufficienti i piani di emergenza; affidabili le operazioni di trasporto del combustibile. Queste in sintesi le risposte fornite dal rapporto della commissione consultiva sulla sicurezza nucleare, istituita dal ministro dell’Industria Bisaglia lo scorso agosto, rapporto presentato alla Conferenza di Venezia del 25-27 gennaio sui temi della sicurezza nucleare.

Ma a nessuno è sfuggito che si è trattato di una commissione e di un rapporto confezionati su misura per avallare decisioni già prese. Scelti dal ministro e non dal parlamento, i membri della commissione sono per la maggior parte esponenti dell’ENEL, del CNEN e dell’industria elettronucleare, più qualche esperto – incompetente confesso in materia di sicurezza nucleare – come il professor Peccei. Ne è stato tenuto fuori, invece, il rappresentante dell’Istituto superiore di Sanità, noto per le sue perplessità sul nucleare.

La commissione ha avuto poco tempo a disposizione e lo ha utilizzato male; si è limitata a esaminare qualche rapporto preesistente sull’argomento. “Non abbiamo verificato un bel niente. Abbiamo soltanto avuto visione dei lavori eseguiti da chi il nucleare lo promuove” è stata la netta presa di distanza di Mussa Ivaldi, uno dei due commissari che ha votato contro il rapporto.

Un quadro certo più obbiettivo delle attuali condizioni di sicurezza delle centrali nucleari lo forniscono due rapporti americani sull’incidente del 28 marzo ’79 nella centrale di Three Mile Island, Harrisburg: il rapporto Kemeny della commissione d’indagine istituita da Carter, e il rapporto Rogovin della commissione promossa dalla Nuclear Regulatory Commission (NRC), l’ente federale proposto alla sicurezza.

Entrambi confermano l’estrema gravità di quell’incidente. Si è stati sull’orlo della catastrofe. Ancora poche decine di minuti di mancato funzionamento dell’impianto di raffreddamento e sarebbe stata la “sindrome cinese”, cioè la fusione del nocciolo del reattore. La conseguenza più probabile sarebbe stata una massiccia dispersione di materiale radioattivo sul territorio circostante con un seguito di morti e di gravi danni ecologici, sanitari e genetici per molti anni a venire. Il danno economico è stato comunque ingentissimo: tra i 1000 e i 2000 miliardi di lire, più del costo di costruzione della centrale.

Ma le conclusioni più allarmanti delle due inchieste riguardano proprio quegli standard di sicurezza che la commissione veneziana ha preso a modello. L’incidente di Harrisburg dimostra la completa inadeguatezza dei principi teorici che hanno ispirato la progettazione degli attuali sistemi di sicurezza. Essi considerano la possibilità che si realizzi un guasto singolo di grave entità, le cui conseguenze devono essere neutralizzate dall’intervento automatico di un dispositivo di sicurezza. Nella centrale di Harrisburg invece un incidente di vaste proporzioni è scaturito dalla combinazione di sei piccoli guasti indipendenti, di fronte ai quali i tecnici si sono trovati impreparati ad intervenire.

Una simile eventualità non solo sconvolge tutti i calcoli precedenti sul rischio di gravi incidenti (il noto rapporto Rasmussen stimava la probabilità della fusione del nocciolo pari a 1 per 100.000 anni-reattore) ma rimette in discussione la stessa concezione dei dispositivi di sicurezza; come sarà possibile in futuro tener conto in fase di progettazione delle possibili combinazioni di guasti?

Il rapporto Kemeny arriva inoltre alla conclusione che tutto il sistema dell’industria nucleare e degli enti preposti al controllo non sono oggi affidabili, non sono in grado di affrontare e di risolvere i problemi che l’energia nucleare pone. L’industria privata non cura a sufficienza l’addestramento del personale e delega il rispetto delle garanzie di sicurezza alla NRC; questa bada più a concedere le licenze che a controllare il funzionamento delle centrali; le norme da rispettare sono spesso confuse ed insufficienti; gli impianti presentano errori di progettazione. “Date tutte le manchevolezze precedenti – conclude il rapporto Kemeny – siamo convinti che un incidente del tipo di Three Mile Island era praticamente inevitabile”.

La commissione propone una completa ristrutturazione dell’intero sistema del nucleare – industria, organizzazione, ente controllore, norme di comportamento – come condizione indispensabile per diminuire i rischi; ma mette in guardia dal considerare le sue proposte come risolutive: “Non diciamo che le raccomandazioni da noi proposte siano sufficienti ad assicurare la sicurezza dell’energia nucleare …”.

Conferma indiretta delle preoccupanti conclusioni del rapporto Kemeny giungono ad un altro documento pubblicato a settembre dal movimento ecologista tedesco. Esso riporta solo dati ufficiali raccolti dalla commissione di sicurezza governativa e in precedenza tenuti nascosti. Il rapporto, che si intitolava “Incidenti nelle centrali atomiche tedesche”, dimostra che nel periodo tra il 1965 e il 1977 nelle centrali tedesche ci sono stati ben 139 incidenti di varia gravità, dei quali 24 sono stati classificati come molto gravi, tali cioè da mettere in pericolo la sicurezza delle persone e dell’ambiente (come Harrisburg, per intenderci). Il governo, in un primo documento precedente sulla sicurezza delle centrali, aveva ammesso che si erano verificati soltanto 14 incidenti di cui 6 gravi!

Concludendo. Anche a non considerare i problemi di sicurezza del ciclo del combustibile, dei trasporti delle materie fissili, del deposito delle scorie radioattive, è più che mai chiaro che a tutt’oggi la sicurezza degli impianti nucleari è soltanto una favola costruita dai promotori interessati dell’uso dell’atomo, in primo luogo dai governi.

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