[Questo contributo è stato presentato alla prima assemblea nazionale dei lavoratori e delle lavoratrici del PCL, nel luglio del 2018, da sette compagni del CC, nessuno dei quali è oggi rimasto nel partito].

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Il compito storico della prossima fase – fase pre-rivoluzionaria di agitazione, di propaganda e di organizzazione – consiste nel superare la contraddizione tra la maturità delle condizioni oggettive della rivoluzione e l’immaturità del proletariato e della sua avanguardia (smarrimento e demoralizzazione della vecchia generazione, inesperienza della nuova). Bisogna aiutare le masse a trovare, nel processo della loro lotta quotidiana, il ponte tra le rivendicazioni attuali e il programma della rivoluzione socialista. Questo ponte deve consistere in un sistema di rivendicazioni transitorie che partano dalle condizioni attuali e dal livello di coscienza attuale di larghi strati della classe operaia e portino invariabilmente a una sola conclusione: la conquista del potere da parte del proletariato.
.. Il compito strategico della IV Internazionale non consiste nel riformare il capitalismo, bensì nel rovesciarlo. Il suo fine politico è la conquista del potere da parte del proletariato per assicurare l’espropriazione della borghesia. Ma l’assolvimento di questo compito strategico è impensabile senza la massima attenzione per tutte le questioni di tattica, anche minute e parziali. Tutti i settori del proletariato, tutti i suoi strati, le sue categorie e i suoi gruppi devono essere trascinati nel movimento rivoluzionario. Quello che contraddistingue l’epoca attuale non è un affrancamento del partito rivoluzionario dal prosaico lavoro di tutti i giorni, ma il fatto che questa lotta può essere condotta in connessione indissolubile con i compiti della rivoluzione.
(Trotsky, Programma di Transizione, 1938)

Noi riteniamo, come sottolineato nelle risoluzioni del CC dello scorso marzo, che le elezioni abbiano rappresentato un cambio di fase. Processi in corso da anni hanno trovato un punto di precipitazione. Da una parte si è sviluppata una saldatura tra classi subalterne e movimenti reazionari (in grado di in-formare senso comune e coscienza di massa), dall’altra si è rattrappito il popolo della sinistra e la sua capacità di egemonia. In questo quadro sono emersi soggetti e progetti autonomi dal centrosinistra (dal mutualismo movimentista di poterealpopolo-CCW al neocampismo mediterraneo di RdC/USB al neostalinismo settario del PC di Rizzo), che hanno saputo conquistare un’influenza, oltre che per certi versi un radicamento, maggiore di noi.

Si è così chiuso anche il secondo ciclo di costruzione del nostro partito. Dopo la fase di raggruppamento (2006/2010: demarcazione dalle capitolazioni della sinistra di governo, riorientamento nel popolo di sinistra, intervento nel processo di scomposizione del PRC) si è infatti esaurita anche quella in cui il PCL era la principale forza dell’estrema sinistra che rivendicava un profilo classista ed un programma comunista, mentre si sviluppavano vari tentativi di riorganizzazione di un campo riformista o centrista di destra (2011-2016: Landini-Fiom-Coalizione sociale; SeL-SinistraItaliana; Rivoluzione civile, Lista Tsipras, Dema e circuito civico dei BeniComuni). In questo quadro, nel cambiamento di fase in corso, si colloca la pesante sconfitta del cartello “Per una sinistra rivoluzionaria” (meno di 30mila voti), nel contesto di una tragica evaporazione della sinistra e della contemporanea emersione di altri soggetti estranei al centrosinistra (LeU al 3,3%, con quasi tutti gli eletti provenienti dal PD; PaP al 1,1%; PC di Rizzo allo 0,3%).

Il PCL si è costituito come partito comunista e rivoluzionario indipendente nel 2006, sulla base di quattro punti programmatici discriminanti: l’opposizione alle classi dominanti e ai loro governi, di centrodestra o di centrosinistra; la prospettiva di un governo dei lavoratori e delle lavoratrici che abolisca il modo di produzione capitalistico e riorganizzi la società su basi socialiste; il collegamento tra obbiettivi di lotta immediati e alternativa anticapitalistica; la prospettiva di un’alternativa socialista internazionale e quindi la necessità di un’organizzazione rivoluzionaria internazionale. Era il tentativo, come esplicitavamo nel secondo congresso, di “raggruppare nel solco del comunismo rivoluzionario diversi percorsi ed eredità storiche” e nel contempo il “punto d’approdo di una lunga battaglia di demarcazione politico-programmatica del marxismo rivoluzionario dal riformismo e dal centrismo”.

In questi dieci anni abbiamo visto esplodere una crisi capitalistica generale, nel quale siamo ancora immersi: una crisi mondiale che non solo ha diffuso miseria e disuguaglianza, che non solo ha esacerbato contraddizioni e conflitti mondiali, ma che ha anche consumato consenso, egemonia e legittimazione delle classi dirigenti. Questa crisi, e lo sviluppo ineguale e combinato del modo di produzione capitalista, ha però determinato nei paesi a capitalismo avanzato una significativa dispersione delle lotte e una profonda involuzione della coscienza di classe, mentre nei paesi a recente sviluppo capitalista è emersa una nuova ed imponente classe lavoratrice ancora immatura e politicamente esile. L’Italia, se con il lungo sessantotto ha rappresentato nel quadro europeo un punto particolarmente alto di quell’ondata rivoluzionaria, oggi rappresenta un punto particolarmente alto di questa involuzione dell’identità di classe e del conflitto sociale. Se, come sottolineavamo nel nostro manifesto fondativo, “la crisi di consenso del capitalismo e dell’imperialismo ricostruiscono lo spazio di rilancio di una prospettiva rivoluzionaria internazionale”, proprio la profondità della crisi e degli arretramenti di classe evidenziano le ragioni e la necessità del PCL. È infatti oggi più che mai necessaria l’azione in questo paese di un partito comunista e rivoluzionario. Un partito cioè capace sul piano politico di porre la questione della presa del potere (il governo dei lavoratori e delle lavoratrici), nella sua azione di connettere le lotte parziali e quotidiane della classe con questa prospettiva di trasformazione del modo di produzione. Un partito cioè capace di evitare, attraverso le elaborazioni e le esperienze del marxismo rivoluzionario, da una parte di adattarsi alla fase (focalizzandosi sulla mera resistenza o, peggio, lasciando confusamente spazio a progetti neomutualisti o di compromesso sociale), dall’altra di scivolare in derive settarie, proponendo astrattamente obbiettivi rivoluzionari non in grado di relazionarsi con i bisogni elementari delle masse.

Noi crediamo infatti che proprio in questo nuovo ciclo che si sta definendo acquisisce inevitabilmente centralità la nostra costruzione attraverso l’intervento. La costruzione del partito, cioè, si deve inevitabilmente sviluppare non solo attraverso il posizionamento generale (propaganda politica rivolta ad un popolo di sinistra ed un’avanguardia larga che già possiede coscienza politica e di classe), ma soprattutto con l’intervento nelle lotte, nei movimenti e nel conflitto in generale (rivolto quindi a settori di classe e avanguardia sociale spesso confusi e senza particolare coscienza politica). La “seconda gamba” di costruzione (come è stata spesso definita nel nostro dibattito) acquisisce quindi sempre più importanza, anche se proprio le involuzioni che hanno recentemente segnato la coscienza e l’identità delle masse e delle avanguardie rendono necessario rivedere parole d’ordine e tattiche d’intervento. Si impone quindi nel partito la necessità di un ampio confronto sull’articolazione programmatica, i metodi e le strategie di intervento nei contesti di massa ed in quelli di avanguardia, a partire dalle esperienze costruite in questi anni (nei sindacati, nel movimento studentesco e femminista, nei diversi territori).

Noi crediamo fermamente, come sottolineato nel dibattito e nelle risoluzioni del CC dello scorso marzo, che questo intervento deve svilupparsi con una politica di fronte unico di massa e di polarizzazione, e quindi con una relativa riorganizzazione del partito.
Sul terreno di massa, come diceva la risoluzione di marzo “solo la ripresa di un conflitto generale e generalizzato è in grado di metter un argine alla deriva politica in corso e sfruttare la debolezza delle classi dominanti determinata dalla crisi, per riaprire un percorso rivoluzionario”, Il problema da “approfondire, per capire come articolare e riarticolare questa linea, è come può costituirsi un fronte unico di massa in una fase di involuzione delle lotte di massa e del popolo della sinistra”, in cui “la Cgil rimane l’unico soggetto a sinistra capace di misurare in milioni la sua penetrazione e la sua azione” e però “le spalle della CGIL appaiono [politicamente] troppo fragili” mentre “allo stesso tempo appare difficile che in questo quadro si autodetermini o si sviluppo un movimento di massa autorganizzato”. È allora tanto più centrale “non solo provare a stimolare o costruire dinamiche di lotta generalizzata, ma soprattutto contrastare le derive di un avanguardismo diffuso”.
Una politica di polarizzazione: di fronte ad “un’avanguardia politica e sociale astratta dai processi reali e teoricamente confusa”, attratta da “mutualismi aclassisti” e da “geopolitiche del conflitto (sovranismo o alba euromediterranea)”, “diviene urgente intervenire” non con una “semplice demarcazione intorno al partito, [che] in questo quadro, appare difficile, perché siamo troppo limitati e fragili per rappresentare punto di riferimento anche solo nell’avanguardia rivoluzionaria”. “Si ritiene [quindi] utile…costruire unità d’azione parziali (su singoli settori o occasioni) ed a geometria variabile (di scopo), che rompano la tenaglia oggi presente”. Dove costruire queste unità d’azione parziali internazionaliste e classiste? “Nelle lotte generali e nella contingenza (cortei, lotte, ecc)”, in “campagne rivolte all’avanguardia (lavoro, donne, Siria, Europa, guerra, antifascismo)”, “in specifici settori [proseguendo e coordinando la costruzione di fronti di intervento con altre forze]: la Cgil, i sindacati di base, gli studenti e le donne, la questione migratoria e la lotta al fascismo e al razzismo”.
Per questo, infine, il CC di marzo aveva ritenuto centrale ristrutturare la nostra propaganda (“rivisitazione grafica, ma soprattutto di impostazione editoriale e anche politica, di giornale, rivista, sito e social”), “valorizzare e razionalizzare il partito intorno al suo gruppo dirigente” (“percorsi formativi diretti al quadro intermedio come architrave di un’azione più centralizzata”; ristrutturazione della segreteria, del Cc e delle commissioni”).

Questa è la linea approvata dal CC. In questo contesto, però, si è aperto in Commissione lavoro, in Segreteria ed in CC un confronto aspro su come attuare questa linea (e forse su questa stessa linea). Un confronto che, per molti versi, era stato anticipato già la scorsa primavera nella Commissione Donne e nel partito, quando si sono confrontate due visioni relativamente agli obbiettivi e le modalità di intervento in nonunadimeno: la costruzione di una tendenza sulla base di una demarcazione, senza un attivo intervento di  costruzione o inserimento nel movimento perché considerato piccolo borghese e senza prospettiva; l’inserimento in quello che giudicavamo un fronte unico di massa che era riuscito, inizialmente suo malgrado, a vedere la partecipazione di alcuni settori del mondo del lavoro, al fine di costruire una battaglia controcorrente sulle nostre posizioni classiste, base della possibile costruzione di una tendenza.

Noi crediamo che nei sindacati (CGIL come i sindacati di base), come in altri movimenti di massa (studenti, nonunadimeno, ecc), si debba oggi intervenire concentrandosi sulla ripresa delle lotte e sulla loro generalizzazione, unico strumento per permettere la ripresa di una coscienza politica e di classe a livello di massa, come unica esperienza di maturazione e di crescita di un’avanguardia sociale diffusa. In una fase di involuzione della coscienza di classe e di grande offensiva padronale, segnata da crisi e depressione, tanto più nel momento in cui forze reazionarie sviluppano capacità egemoniche nelle classi subalterne, l’obbiettivo prioritario diventa per noi quello di cercare di cogliere, supportare e radicalizzare lotte e conflitti parziali (nei posti di lavoro, a partire dall’offensiva su salario, orario e organizzazione di lavoro data dalla crisi e dalla ristrutturazione in corso; per reazione a specifiche scelte e politiche di governo, senza grandi risorse a disposizione). Lavorando nelle avanguardie sindacali e di movimento (“non c’è una politica di massa senza conquista dell’avanguardia almeno di una sua maggioranza”, come ricorda la risoluzione del CC del marzo), con una politica di massa e di polarizzazione, anche con unità d’azione esplicite con altre forze (a “geometria variabile”, come precisato sempre dalla risoluzione del CC di marzo).

Nell’OpposizioneCgil questa linea si stava sviluppando, con piena consapevolezza del partito e dei suoi organismi dirigenti, da diversi anni. Come era esplicitamente indicato nel gennaio 2015 dai compagni Scacchi e Grisolia, in un documento per il seminario nazionale dell’area (Crisi, autonomia e sindacato: un contributo per una prospettiva di classe e anticapitalista dell’OpposizioneCgil), pubblicato allora anche sul sito del partito e quindi trasmesso come indicazione di linea a tutto il partito dai compagni/ dell’Esecutivo dell’area aderenti al PCL (circolare del 20 maggio 2015). “I processi di demarcazione che hanno costituito la nostra area si sono quindi progressivamente determinati nell’ultimo decennio, a partire dalla Rete28aprile, cioè da quei compagni e compagne della sinistra CGIL che hanno iniziato a coordinarsi partendo dall’opposizione alla linea di Epifani prima e Camusso poi, da un bilancio dell’involuzione burocratica di Lavorosocietà, dal ripiegamento della vasta coalizione della CGILchevogliamo. Nella CGIL sono sempre vissute diverse sinistre, sulla base delle diverse appartenenze, dei diversi posizionamenti nei confronti della segreteria, delle dinamiche di diversi settori di classe. Il compito che abbiamo oggi è allora quello di dare un fondamento ed una prospettiva di fase a questa area, che da un percorso di opposizione e distinzione delinei una propria strategia. Noi pensiamo cioè che sia necessario dare a quest’area la prospettiva di una corrente classista e anticapitalista”. D’altronde questo obbiettivo di fase posto nel 2015 riprendeva più o meno testualmente un’indicazione tattica dello stesso documento sindacale del secondo congresso del PCL, relativamente  alla caratterizzazione generale della minoranza CGIL: “Infatti lo sviluppo della nostra azione in CGIL dovrà essere ovviamente correlato a quello del quadro sindacale e politico più generale; tenendo costantemente presente che se l’obbiettivo generale è la Costituente come su precisato, lo strumento per sviluppare la lotta per essa è non una generica “sinistra sindacale” (né “moderata” come “la CGIL che vogliamo”, né “radicale” come la “Rete 28 aprile”) ma una vera corrente di classe e che quindi la sua costruzione deve essere il nostro punto di riferimento
E si proseguiva nel documento del 2015… “Per noi ha quindi senso provare a rilanciare un sindacato classista e anticapitalista nella CGIL, non limitandosi alla critica o al dissenso negli organismi dirigenti. Il senso di una nostra presenza organizzata nella CGIL è quello di sfruttarne articolazioni e contraddizioni per sostenere il conflitto di classe, e quindi per sviluppare in una dinamica di massa un’azione sindacale anticapitalista. In questo quadro, è necessario intervenire come area sindacale nelle dinamiche del conflitto di classe. Anche per contrastare la tendenza ad esser inglobati in una logica burocratica di pura riproduzione, che ritmi, prassi e ritualità di una grande organizzazione di massa tendono a innescare”.
Ed infine: “In questo quadro dobbiamo tracciare una linea di intervento di un’area classista e anticapitalista. In una fase di crescita economica, come abbiamo visto, è teoricamente possibile che crescano sia i profitti sia i salari. Nelle fasi di sviluppo capitalistico, cioè, si determinano delle condizioni oggettive che facilitano un compromesso capitale lavoro, e quindi l’azione economica del sindacato. In una fase di crisi o stagnazione economica, invece, la contrapposizione tra salari e profitti diventa diretta: la necessità di mantenere i margini determina una pressione a comprimere il salario. In una fase come questa l’azione del sindacato è quindi più complessa, in quanto deve contrastare una lotta di classe che è scatenata dall’avversario. L’offensiva, nel pieno della crisi, è complessiva: sull’occupazione innanzitutto, per la distruzione di capitale nelle recessioni e nelle depressioni; sul salario diretto e su quello indiretto (per aumentare la quota di plusvalore trattenuto dal capitale), sull’organizzazione del lavoro (aumento del tempo o dell’intensità di lavoro), sul salario sociale (riduzione della tassazione generale e quindi dei servizi pubblici). Ricordandosi che non è sufficiente un’impostazione classista, ma serve anche un’impostazione anticapitalista in quanto: “Il sistema capitalistico tende inevitabilmente alla crisi ed alla depressione. Non esiste una tendenza prevalente alla crescita, in grado di contrastare le crisi cicliche e sulla quale contare per conquistare progressivamente margini di miglioramento del lavoro. Le controtendenze, che possono prevalere ciclicamente o spazialmente (in alcuni aree del mondo), sono infatti destinate ad esser superate dalla caduta tendenziale del saggio di profitto. E quindi non esiste nemmeno la possibilità di costruire sistemi di regolazione e redistribuzione stabili, in grado di cancellare o di posporre indefinitamente le crisi. Compito del sindacato è quindi difendere gli interessi di classe in una relazione antagonistica con il capitale che è dettata dai ritmi del ciclo capitalistico”. Come è stato esplicitamente riportato in diversi interventi e comunicazioni al Comitato centrale, anche con un’unità di azione con Sinistra Anticapitalista nell’ambito della gestione dell’area.

Per attuare questa linea, riteniamo indispensabile il metodo transitorio. Tanto più nel contesto di involuzione a livello di massa e di avanguardia che prima ricordavamo. Cioè riteniamo fondamentale definire parole d’ordine programmatiche, su cui intervenire a livello di massa e attraverso cui cercare di costruire un’evoluzione ed una generalizzazione delle lotte, che siano in grado da una parte di cogliere e raccogliere i bisogni di ampie masse, dall’altra di prefigurare una trasformazione sociale (cioè indicare obbiettivi che richiedono l’abbattimento di questo modo di produzione). Il documento sindacale del secondo congresso del PCL (decima tesi, ultime due pagine) presenta una prima ipotesi di programma transitorio nell’azione sindacale, senza pretese definitive o di completezza: democrazia operaia (diritto di organizzazione e dissenso per ogni componente sindacale, controllo e rappresentatività per dirigenti e funzionari, democrazia nell’elezione delle rappresentanze sindacali, ecc), prospettiva di una vertenza generale da sviluppare con la lotta di massa (blocco dei licenziamenti; riduzione generalizzata dell’orario di lavoro a parità di salario a 32 ore, abolizione precariato, aumenti uguali per tutti di almeno 300 euro mensili, salario minimo intercategoriale di almeno 1500 euro, ecc), parole d’ordine più generali di lotta (occupazione delle aziende che licenziano e casse di resistenza) e rivendicative (pensioni dignitose, piano di investimenti e lavori pubblici, esproprio e nazionalizzazione sotto controllo dei lavoratori delle aziende che licenziano o inquinano, ecc), aumento della tassazione per ricchi ed imprese (lotta all’evasione, patrimoniale ordinaria e straordinaria; ecc), oltre che alcune generiche indicazioni su altri terreni (diritti degli immigrati, contro il razzismo e l’oppressione di genere, ecc). Proprio su queste parole d’ordine transitorie, e su altre similari emerse negli ultimi anni (come la rivendicazione di aumenti fissi o la sicurezza sul lavoro), abbiamo in questi anni concentrato il nostro intervento. E non casualmente, esattamente su questo impianto transitorio, spesso con una piena identità di formulazioni, è costruito il programma di proposte presenti nel documento congressuale dell’OpposizioneCGIL “Riconquistiamo tutto!”.
Il carattere transitorio o meno di una parola d’ordine, certo, è sempre legato alle condizioni ed alla dinamica della fase (quello che è transitorio in un dato momento, può esser riformista in un altro contesto e troppo avanzato in un altro ancora). Il nostro sforzo allora deve esser oggi diretto soprattutto all’elaborazione ed articolazione di queste parole d’ordine, a livello generale e nei diversi settori, in grado di cogliere, interconnettere e provare a collegare resistenze e lotte disperse.

Per questo, di conseguenza, riteniamo sbagliato focalizzare l’intervento nelle strutture di massa (sindacati o movimenti) principalmente sull’obbiettivo di rivolgersi alle loro avanguardie per la loro conquista nelle fila del partito (a patire dal presupposto che la dimensione di massa sia oramai così involuta e arretrata che l’opera diretta a svilupparla sbilanci troppo la linea).
Per questo, di conseguenza, riteniamo sbagliato intervenire in questi contesti di massa con una semplice politica ed azione di proposizione del programma del partito, intorno a cui demarcarsi e organizzare nuclei di simpatizzanti e sostenitori.
Per questo, di conseguenza, riteniamo sbagliato intervenire nell’avanguardia larga del sindacalismo di base, frammentata e politicizzata, qualificandoci come proposta o componente di partito astratta da quei contesti, senza invece lavorare prioritariamente a sviluppare interventi e parole d’ordine coordinati nelle diverse esperienze di lotta (al di là di valutazioni anche diverse sui diversi sindacati di base e sulla loro azione in questi anni).
Per questo, di conseguenza, riteniamo sbagliato intervenire in questi contesti di massa proponendo direttamente programmi e obbiettivi tout court rivoluzionari, coagulando intorno a queste delle tendenze senza nessuna articolazione con la coscienza ed il livello delle lotte.
Per questo, di conseguenza, non troviamo adeguate oggi le parole d’ordine della vertenza generale tramite un’assemblea nazionale dei delegati e della costituente di classe come processo di massa. Pur rimanendo per noi importanti per lo sviluppo di una dinamica rivoluzionaria della lotta di classe, quindi da mantenere nel quadro del programma e delle prospettive d’azione del partito, non sono oggi proponibili nel quadro di massa e dell’avanguardia larga per l’involuzione e gli arretramenti che caratterizzano la fase.

Considerate le numerose incomprensioni emerse in queste settimane, ci soffermiamo un momento su quest’ultimo punto (vertenza generale tramite assemblea nazionale e costituente del sindacato di classe).
L’obbiettivo della vertenza generale e della sua costruzione attraverso assemblee di delegati/e eletti nei posti di lavoro è un elemento strategico della nostra azione, in quanto coniuga l’esigenza di ricomporre lotte parziali (coinvolgere nel conflitto e potenzialmente nel processo rivoluzionario l’insieme della classe e non solo suoi settori limitati), con la costruzione di una loro direzione democratico-consiliare (in grado di affrancarsi dall’inevitabile tendenza conciliazionista e burocratica del sindacato). Non a caso tale prospettiva era non solo indicata nel documento politico del secondo congresso, ma era ripresa anche nel documento sindacale sottolineando l’importanza di “sviluppare una battaglia costante, in particolare nei momenti di ascesa della lotta, sia generali che particolari, per sviluppare forme di autorganizzazione di massa, elette e controllate democraticamente: dai comitati di sciopero, ai consigli di fabbrica, ai consigli di tipo sovietico..In particolare nelle lotte rivendicative i comunisti devono indicare la necessità che esse siano gestite da strutture di massa democraticamente elette cui la o le organizzazioni sindacali devono essere struttura di supporto organizzativo”.
Strategia che infatti, non casualmente, è anche presente nel documento dell’OpposizioneCgil “Riconquistiamo tutto!”: “Con la crisi, è ancora più vero che ogni conquista è il prodotto di lotte di massa in grado di rimettere in discussione un sistema basato sullo sfruttamento capitalistico. Da una parte è allora necessario ricostruire una resistenza nei luoghi del lavoro, sostenere l’autorganizzazione, la democrazia consiliare, la formazione di comitati di lotta, assemblee e coordinamenti nella costruzione delle piattaforme e degli scioperi. Dall’altra ė necessaria una conflittualità diffusa, in grado di riprendere il controllo sull’organizzazione del lavoro (salario, orario, diritti e tutele) e, al tempo stesso, di costruire una vertenza generale per ricomporre le lotte”.
Il punto che si vuole discutere è l’utilizzazione immediata, nella propaganda e nell’agitazione sindacale, di questa parola d’ordine. Come anche è sottolineato nella relazione per la Conferenza dei lavoratori e delle lavoratrici del PCL, infatti, per noi “l’intervento per la promozione e strutturazione delle forme di autorganizzazione della classe nei processi di mobilitazione, resistenza e lotta diviene la base necessaria per rendere comprensibile e attuabile la rivendicazione della costruzione di una assemblea nazionale di delegati e delegate democraticamente elette per la costruzione e gestione della mobilitazione generale nelle sue forme e nella definizione della sua piattaforma rivendicativa unificante. Senza la prima battaglia la rivendicazione dell’assemblea dei delegati e delle delegate risulterebbe astratta e lontana dalle dinamiche e dalla coscienza della classe; senza la seconda la battaglia per la mobilitazione e lo sciopero generale, e la costruzione degli organismi autonomi della classe, risulterebbero sterili, privi di prospettive e, quindi, facilmente riassorbibili dalle burocrazie sindacali a logiche concertative e di disciplinamento opportunistico e riformista.” Oggi infatti, come richiamato dalla risoluzione del CC di giugno sulla questione sindacale, “la priorità della proposta e dell’azione dell’OpposizioneCgil deve esser diretta a cogliere e sostenere ogni possibile resistenza contro le offensive contrattuali del padronato e contro le pseudo-riforme del nuovo governo (Fornero, BuonaScuola, flat-tax e reddito di cittadinanza), oltre che l’eventuale ripresa di un conflitto diffuso su salari, orari, diritti e condizioni di lavoro. Queste dinamiche parziali di lotta possono infatti rimettere al centro della dinamica sociale la contrapposizione tra i diversi interessi di classe, ricostruendo quindi nelle lotte una coscienza ed un’identità collettiva del lavoro. È infatti solo sostenendo scioperi e mobilitazioni settoriali, aiutandoli a diffondersi e generalizzarsi, che è possibile sviluppare il terreno su cui proporre e quindi costruire una reale vertenza generale, tanto più una vertenza basata su una piattaforma definita da una assemblea nazionale di delegati e delegate eletti a partire da assemblee di lavoratori e lavoratrici nelle singole aziende”.
Similmente, come sottolineato sempre nel documento sindacale del secondo congresso del PCL, “la proposta organizzativa strategica che noi dobbiamo indicare come prospettiva è quella della “costituente per la rifondazione di un sindacato di classe”: cioè la proposta all’insieme dei lavoratori e delle lavoratrici di unirsi il più largamente possibile in una confederazione sindacale unitaria basata sulla democrazia dei lavoratori, la difesa dei loro autonomi interessi di classe, immediati e storici, e per la cui azione noi proponiamo un programma di obbiettivi anticapitalistici. Ciò in rottura con le attuali burocrazie dirigenti, estranee alla classe”. Nel 2011, in una fase diversa (a valle della caduta del centrosinistra e dei movimenti di massa del 2008/2010; nel pieno della battaglia FIAT contro Marchionne, della rottura tra CGIL e CISL-Uil con la diffusione dei contratti separati, dei processi di scomposizione e ricomposizione nei sindacati di base), questa prospettiva strategica veniva da noi proposta come “asse di intervento di propaganda per la battaglia contro le burocrazie”, lanciando esplicitamente “la prospettiva della costruzione – e costruire effettivamente ovunque possibile – di “Comitati per la rifondazione classista del sindacato”. Le sconfitte e le involuzioni che seguiranno (governo Monti e Fornero, riunificazione CGIL CISL UIL, capitolazione FIOM, rottura dell’unità d’azione nei sindacati di base, ecc), renderanno questa prospettiva rapidamente astratta dalla realtà (tant’è che questo asse propagandistico non è mai stato portato avanti). Oggi, a sette anni di distanza, con gli ulteriori arretramenti, l’involuzione e le profonde divisioni nel sindacalismo conflittuale, l’utilizzazione di questo asse di propaganda risulta incomprensibile non solo a livello di massa, ma anche nell’ampia avanguardia sindacale.
Il punto, ovviamente (ma forse non tanto ovviamente, e quindi è bene ribadirlo) non è quello di abbandonare questi obbiettivi strategici. E solo quello di non proporli oggi come asse di immediato di intervento a livello di massa e nelle larghe avanguardie, lavorando invece per sviluppare lotte parziali e strutture di autorganizzazione di queste lotte (comitati di sciopero, coordinamenti di delegati/e, ecc). Costruire cioè il terreno naturale di sviluppo di queste parole d’ordine. Non appena il movimento acquisterà un carattere di massa, queste parole d’ordine più avanzate si allacceranno naturalmente da una parte alle parole d’ordine transitorie che hanno accompagnato queste lotte parziali, dall’altro alla dinamica conflittuale di massa che si è avviata.

Proprio per questo, per mantenere questi obbiettivi strategici, pur ritenendo tutto questo sbagliato o inadeguato per la costruzione di un intervento di massa, riteniamo fondamentale che il PCL si presenti in questi contesti anche con il suo profilo programmatico. Sviluppando la nostra propaganda, raccogliendo e organizzando tutte le avanguardie disponibili. Per questo non solo non si intende occultare le appartenenze dei nostri compagni/e, ma si ritiene fondamentale rivendicare progetto e profilo rivoluzionario del partito. Per questo, ad esempio, abbiamo sostenuto sin dallo scorso marzo la necessità e l’opportunità di intervenire nel dibattito nell’OpposizioneCgil con un contributo che inquadri la nostra azione sindacale (senza condurre su questo, oggi, una demarcazione nell’area), delineando in senso comunista e rivoluzionario la battaglia classista ed anticapitalista che si sta conducendo. Per questo abbiamo proposto (nella risoluzione approvata dal CC di giugno) di valorizzare “in ogni caso”, “la discussione proposta nell’OpposizioneCGIL intorno ai diversi emendamenti alla prima bozza del testo congressuale presentati da alcuni/e compagni/e del partito, razionalizzandola nel quadro di una serie di contributi di analisi e riflessione nel corso di tutto il percorso congressuale sul sito del partito, su “Unità di classe” e anche sul sito della stessa OpposizioneCgil”. Per questo, nella stessa risoluzione, abbiamo riconosciuto che una “parte significativa dei militanti e degli iscritti al partito svolge la propria attività in diversi sindacati conflittuali (in particolare USB, CUB, SGB e alcuni Cobas)”, che questi sindacati “svolgono un ruolo significativo di intervento o direzione in diversi settori (dai trasporti alle diplomate magistrali, dalla logistica ai migranti)” e che in questo quadro è fondamentale interloquire e intervenire nei confronti di questi settori di avanguardia (spesso molto politicizzati e con un’elevata coscienza di classe, ma talvolta teoricamente eclettici, incoerenti o confusi), realizzando un “bollettino pubblico per la circolazione delle esperienze e delle lotte, oltre che strumenti di coordinamento del nostro intervento trasversalmente alle diverse appartenenze sindacali” (proponendo cioè a questi settori un’evoluzione verso le posizioni, la prospettiva ed il metodo di intervento comunista rivoluzionario a partire dalle necessità e le contraddizioni del loro intervento nella lotta di classe).

Il confronto di questi mesi è uno dei tanti che in più di un decennio abbiamo vissuto nel partito sull’articolazione e la definizione della nostra linea politica. Come è ovvio e naturale in un partito rivoluzionario. Come altre volte è avvenuto, è anche naturale che ci siano asprezze e anche momenti polemici tra di noi. Il confronto in questi mesi nel gruppo dirigente si è però svolto spesso in un clima rissoso, in cui troppo spesso sono state avanzate con leggerezza e senza misura reciproche accuse, allusioni, caratterizzazioni politiche e personali. È probabilmente anche un effetto secondario della fase che attraversiamo, ma in ogni caso crediamo che tutto questo stia lentamente, ma progressivamente, avvelenando i pozzi del nostro dibattito e della nostra costruzione. Per questo crediamo fondamentale che tutti e tutte facciamo uno sforzo, ponendo una maggior attenzione e consapevolezza, salvaguardando la chiarezza politica e le diverse posizioni, ma anche rispettando il profilo politico e personale degli altri compagni/e.

Il problema però non si è limitato genericamente a un’incontinenza emozionale o relazionale. Nel corso delle discussioni, è stata avanzata ripetutamente l’accusa di uscire non solo dal programma di transizione, adattandosi all’arretramento complessivo, ma anche dal campo rivoluzionario. E questo profilo politico della polemica è stato accompagnato da vaghe e ripetute accuse di scorrettezze, “doppi regimi” e violazioni statuto. Riteniamo inaccettabile l’estremizzazione di questo confronto. Come riteniamo inaccettabile, nella discussione di una linea, forzare prassi e regole che ci siamo dati in questi dieci anni: ad esempio proporre e far approvare emendamenti alle risoluzioni del CC esplicitamente contradditorie con quanto approvato il giorno prima, facendosi forza dei cambiamenti nel frattempo intervenuti nella platea; o utilizzare riunioni nazionali con una platea casuale (non per delegati/e), convocate con funzioni formative, per approfondire il confronto e dar vita ad un primo coordinamento delle diverse esperienze, per farle esprimere su ordini del giorno contradditori con quanto approvato in CC, quando per dieci anni persino i seminari sono stati organizzati per deleghe o funzioni). Per questo, ritenendo ingestibile questo clima e questa prassi, in tempi diversi nel corso di queste polemiche alcuni di noi hanno presentato le proprie dimissioni dalla segreteria (Nicola, Tiziana e Luca). Di fronte al periodo estivo e ad un possibile collasso di ogni direzione politica del partito, per senso di responsabilità, le abbiamo sospese. Nel prossimo CC dovrà però essere affrontato in primo luogo un chiarimento politico, di metodo e di merito, come condizione indispensabile per il proseguo di una gestione comune del partito (nell’ovvia differenziazione delle posizioni che sempre ha caratterizzato i nostri organismi, anche quelle esecutivi).

5 luglio 2018

Tiziana Mantovani, Luca Scacchi, Nicola Sighinolfi, Michele Terra,
Chiara Mazzanti, Piero Nobili, Ruggero Rognoni

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