Remigration summit è il titolo scelto per l’incontro internazionale del prossimo 17 maggio, promosso da un arcipelago di raggruppamenti identitari, islamofobi e neofascisti. La raggelante kermesse dovrebbe tenersi in una città della Lombardia, compresa tra Milano e Varese.
L’idea di una deportazione di massa dei migranti affascina la destra – una destra estrema sempre più scoperta e aggressiva nei suoi intenti xenofobi e autoritari. Da tempo, la galassia dell’odio nero vuole affermare nel dibattito pubblico il tema della “remigrazione”. Il termine è stato reso popolare dal leader identitario e razzista austriaco Martin Sellner. Vuol dire espulsioni forzate di cittadini di origine straniera che vivono nei paesi europei, anche in possesso della cittadinanza, che non si integrano e che vengono giudicati non “assimilabili”, non conformi cioè ad una supposta identità occidentale.
Celato dietro questo contorto neologismo, si staglia l’idea di un suprematismo “bianco” che si scaglia contro gli ultimi della scala sociale, contro i migranti, cioè quelle persone che non trovano un posto dove vivere, uomini e donne negate nella loro umanità e ridotte a rappresentare una zavorra o una minaccia. Alcuni, anche a sinistra, continuano a ripetere che prese singolarmente queste manifestazioni non rappresentano un pericolo, ma sono solo delle folkloristiche pagliacciate. Il punto è che il ripetersi di queste adunate rende sempre più sottile il filo che separa la farsa dalla tragedia, e contribuisce a far ritenere normali e accettabili contenuti che fino a qualche anno fa erano considerati delle farneticazioni di pochi individui fuori dal tempo presente.
La remigrazione non è più un concetto che appartiene solamente ad un ambito politico e culturale ristretto, ma sta diventando la nuova parola d’ordine dei partiti xenofobi, e viene usata dall’estrema destra nelle sue varie sfumature, da quelle che assumono una postura trumpiana a quelle dei gruppi dichiaratamente neofascisti e neonazisti; dai sovranisti iberici che sognano la reconquista nei confronti dei Mori, ai tedeschi dell’Afd che l’anno scorso a Potsdam, promossero un incontro segreto per mettere a punto un progetto di espulsione degli stranieri e degli immigrati. in Italia l’evocazione del concetto di remigrazione inizia a vedersi nei discorsi politico-televisivi di deputati o amministratori dei partiti della destra di governo. Il ministro dei Trasporti e segretario della Lega Matteo Salvini ha deciso di sostenere lo svolgimento del convegno organizzato dall’estrema destra per il 17 maggio, mentre a Como, i giovani del carroccio, senza alcun indugio propongono con forza l’introduzione di un piano di “remigrazione” per tutti gli immigrati che delinquono o dimostrano un chiaro rifiuto di integrarsi nella nostra società». La destra di governo richiama una presunta identità nazionale per evocare differenze orizzontali noi-loro, mentre lavora attivamente per esacerbare quelle verticali e di classe; confeziona immagini e parole che parlano alla pancia della società, puntando ad utilizzare la rabbia degli strati popolari per mantenere il dominio di pochi possidenti sull’insieme della società. La religione del mercato si combina perciò, con la mistica nazionalistica che porta a distinguere tra “veri italiani” e “nemici dell’Italia.” In questo modo, la difesa degli interessi delle classi dominanti va di pari passo con l’utilizzo della più classica delle strumentalizzazioni: indicare un nemico esterno come causa dei problemi interni.
Questo crudele lessico discriminatorio, che evoca la deportazione dei più poveri, non è però solo un’esclusiva della destra più estrema, visto che il primo ministro francese Bayrou, esponente del centro liberale ha recentemente usato l’espressione “submesion migratorie” (inondazione di migranti) un frasario che evoca la teoria della sostituzione etnica –remplacement – dell’estrema destra transalpina. L’avversione verso i migranti è sospinta dal vento gelido che proviene dall’ oltre Atlantico, dove l’amministrazione Trump utilizza il potere governativo come arma contundente per polverizzare diritti e protezioni umanitarie. Anche in Europa, contro i disperati che hanno la sola colpa di cercare di sopravvivere, si susseguono a ritmo serrato misure sempre più repressive e in violazione di leggi e Convenzioni internazionali. I governi della U.E., ben lungi dall’intervenire sulle cause che spingono le persone a partire e che richiamano le responsabilità del capitalismo occidentale (guerre, miseria, sfruttamento, crisi climatiche, carestie) adottano invece una politica muscolare: erigono muri, sigillano le frontiere, progettano nuovi universi concentrazionari. Capofila di queste politiche non sono solo i governi retti dalle forze della destra, ma anche quelli di centrosinistra. Il socialdemocratico Scholz durante il suo mandato ha sospeso Schengen per sei mesi, mentre il socialista Sanchez si è ripromesso di siglare con Gambia, Mauritania e Senegal gli stessi accordi che Meloni ha fatto con la Tunisia e prima di lei Minniti con la Libia. Per non parlare del governo britannico, del laburista Starmer che all’inizio dell’anno ha reso pubblici una serie di video in cui si mostrano immigrati scortati dalla polizia, e portati in fila indiana alla scaletta degli aerei utilizzati per la loro deportazione. Un’esibizione della crudeltà che ricalca lo stile del presidente statunitense, compiaciuto del suo decreto esecutivo che commina la gogna a decine di migliaia di migranti in catene espulsi dal paese dove vivevano da anni.
In un momento in cui gli effetti della crisi economica capitalista si fanno sempre più evidenti, scuotendo le basi economiche di gran parte della popolazione, il migrante si trasforma nel facile capro espiatorio a cui addossare tutte le colpe del malessere sociale. I migranti sono lavoratori e lavoratrici sfruttati anche grazie alla stigmatizzazione di “razza” che li investe. Va perciò respinta la cinica narrazione sovranista che continua a spiegare che i migranti che muoiono durante le loro traversate non sono dei disperati in fuga da guerre, miserie e carestie, ma sono invece voraci predatori economici, che rappresentano una minaccia per il nostro lavoro, le nostre case, il nostro “stile di vita”. Va perciò respinto il veleno xenofobo che punta a dividere il fronte della classe lavoratrice, a separare gli sfruttati a secondo dell’etnia, del colore della pelle o del proprio credo religioso. Va quindi rilanciata con forza una battaglia politica per un’accoglienza degna, per pari diritti per tutti. Contro nazionalismo e xenofobia rilanciamo l’internazionalismo proletario! Nelle mobilitazioni contro l’adunata suprematista riaffermiamo la parola d’ordine che fu propria degli spartachisti di Rosa Luxemburg “Hoch die internationale Solidarität”.
A.M.R. ControVento