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In questo inizio del 2022 abbiamo deciso di uscire dal Partito Comunista dei Lavoratori. Molti di noi hanno contribuito, con ruoli e responsabilità diverse, alla sua fondazione più di quindici anni fa, ed ancor prima allo sviluppo nelle file della Rifondazione Comunista di quel percorso di definizione politica, programmatica e organizzativa da cui poi il PCL ha preso vita.

Abbiamo cioè condiviso e siamo stati partecipi di un progetto politico che, vivendo in resistenze e movimenti nel corso della lunga onda neoliberista (dall’autunno dei bulloni a Genova 2001, dai 21 giorni di Melfi all’Onda, dalle difesa dell’articolo 18 alle iniziative contro la guerra), ha costruito uno spazio di raggruppamento comunista e rivoluzionario schierandosi contro le alleanze con il centrosinistra. Prima con i documenti alternativi nel PRC e poi con il movimento costitutivo del PCL, si è cioè cercato di superare limiti e derive del movimento trotzkista costruendo un percorso sulla base di una proposta programmatica: il bilancio del comunismo novecentesco e l’antistalinismo; l’opposizione ad ogni collaborazione di classe; la necessità di costruire un modo di produzione socialista attraverso la presa del potere; ribadendo quindi l’importanza di un partito di avanguardia, una prospettiva internazionale e un metodo transitorio.

Non abbiamo cambiato idea. Riteniamo infatti che ancora oggi sia necessario proseguire e perseguire un processo di raggruppamento programmatico comunista e rivoluzionario, intorno ad alcune discriminanti fondamentali: l’opposizione alle classi dominanti e loro governi (per l’unità della classe, per lo sviluppo di fronti unici di massa e di classe); la prospettiva di un governo dei lavoratori e delle lavoratrici (l’obbiettivo di superare un modo di produzione basato sullo sfruttamento, il saccheggio dell’ambiente e lo sviluppo degli imperialismi); lo stretto collegamento tra le rivendicazioni parziali della resistenza di classe con la prospettiva anticapitalista (una spanna, e non di più, sopra la coscienza di classe); la consapevolezza del rapporto dialettico tra avanguardia e autorganizzazione (il partito senza classe è solo spirito, la classe senza progetto è solo antagonismo); l’importanza di una prassi consiliarista (per evitare ogni tentazione avanguardista ed ogni degenerazione bonapartista); una prospettiva ed una prassi internazionale (un progetto di rivoluzione permanente, nel quadro delle tendenze imperialiste e della dinamica ineguale e combinata del capitalismo).

Riteniamo però che la Grande Crisi, e quindi l’ultimo decennio, abbiano segnato un cambio di fase. La recessione del 2008/09, cioè l’apertura di una crisi generale e di lungo periodo [come già avvenuto al termine di una lunga onda depressiva nel 1873/1896 o negli anni trenta del novecento], ha approfondito i processi di arretramento e disorganizzazione di classe. Particolarmente in Italia, anche per effetto della marginalizzazione della sinistra (che tra le altre cose ha lasciato alcune decine di migliaia di militanti divisi e socialmente isolati), nelle rappresentazioni collettive è progressivamente sfumato il legame tra condizione sociale e prospettiva di trasformazione. Si è così amplificata la perimetrazione territoriale, professionale e persino d’impresa delle lotte sociali, parallela alla frammentazione che in questo paese ha conosciuto il capitale e la struttura produttiva. Anche se alcune lotte hanno trovato ampi consensi (dalla scuola alla logistica, dai rider alla GKN) è diventato sempre più complesso avviare movimenti di massa e processi di generalizzazione delle lotte. Nel contempo si è diffuso un senso comune reazionario che, attraverso i 5 stelle e sollecitato dalla diffidenza verso i migranti, è penetrato nelle classi subalterne, consolidandosi nel corso del governo Conte/Salvini.

Questo cambio di fase ha reso per noi indispensabile un bilancio del percorso del PCL: abbiamo cioè ritenuto imprescindibile, a fronte di un logoramento progressivamente impostosi dal 2012, riconoscere limiti e fallimenti del nostro cammino, ridefinire percorsi e progetto politico, proprio per confermarne l’impianto programmatico di riferimento. Il disfacimento del cosiddetto popolo di sinistra e lo sviluppo di movimenti reazionari di massa ci ha interrogati sull’inadeguatezza delle nostre parole d’ordine [la sinistra che non tradisce], la necessità di costruire nei movimenti interventi programmatici di tendenza e non componenti identitarie di partito, la possibilità di condurre politiche di polarizzazione e quindi di costruzione di poli classisti e internazionalisti (nei movimenti come in campo elettorale). L’importanza di collegarsi alle dinamiche dello scontro di classe ci ha portato a riflettere sulla necessità di modulare le rivendicazioni in rapporto alle involuzioni della coscienza e dell’organizzazione di classe, evitando di interpretare il metodo transitorio come semplice propaganda rivoluzionaria, ma usandolo al contrario proprio come strumento per agganciare una prospettiva al senso comune e alle consapevolezze diffuse. Questi percorsi ci hanno reso sempre più evidenti i limiti di una strategia di costruzione basata sostanzialmente sulla semplice demarcazione politica e la propensione propagandista in movimenti ed elezioni, contando sull’inevitabile incendiarsi delle praterie e quindi senza curare radicamenti e sviluppi dei conflitti sociali.

Il V congresso del PCL ha però innescato una deriva del partito. Ne abbiamo preso pubblicamente atto alla sua conclusione, costituendoci in Tendenza dopo aver presentato un documento alternativo: il congresso ha strutturato un arretramento, i cui sintomi si erano manifestati da tempo e si sono progressivamente aggravati. Da una parte ha proclamato non un passo indietro [rispetto ad] una linea di costruzione definita in un contesto diverso, senza tenere in considerazione i risultati ottenuti e le forze ora ridotte. Dall’altra ha impresso un evidente ripiegamento identitario, con una focalizzazione dell’intervento sulla propaganda e sui settori di avanguardia. La nostra ipotesi che la costituzione e l’azione di una tendenza potesse contribuire a mantenere l’elaborazione e l’attenzione del partito connessa alla lotta di classe e allo sviluppo di un metodo transitorio [come scrivemmo sempre in quel documento di costituzione) si è purtroppo rivelata sbagliata.

In questi anni si è radicalizzata una propensione avanguardista e una centralizzazione autoritaria del PCL. Lo abbiamo misurato nella superficialità ed approssimazione delle analisi [funzionali a riproporre la linea degli anni precedenti]; nelle parossistiche ed autocentrate scelte elettorali [sotto lo slogan Il PCL è presente], anche quando visibilmente estranee al territorio e inessenziale nei risultati (vedi Roma); in un intervento di massa segnato dallo sviluppo di componenti pubbliche di partito (a partire dal sindacato); nell’autorefenzialità di questa azione (vedi l’appello sulle nazionalizzazioni proposto come punto di riferimento demarcante e propagandista); nell’abbandono di ogni attenzione alle dinamiche di massa e  all’unità delle lotte (come evidenziato dagli interventi lo scorso luglio alla GKN o a settembre nell’assemblea di Bologna di parte del sindacalismo di base).

In ultimo, a coronamento di questa deriva, il PCL ha ricostituito una propria organizzazione internazionale di riferimento, l’OTI. Riproponendo una struttura sciolta da quasi vent’anni, costruita in un’altra stagione e che non ha neanche mantenuto rapporti di occasionale consultazione, il partito si è semplicemente dato un vestito internazionale (con pochi amici e compagni/e), archiviando di fatto una politica di raggruppamento per costituire l’ennesima piccola struttura omogenea schiacciata su un’organizzazione nazionale (cioè l’ennesima internazionale frazione del movimento trotzkista). Un percorso imposto lo scorso luglio con una scelta frazionistica di maggioranza. In questi anni, infatti, si è anche sviluppato un progressivo degrado del centralismo democratico, con autoritarismi, stigmatizzazioni personali e prassi sconosciute sino a pochi anni fa nel PCL [a partire dall’irreggimentazione e compartimentazione della discussione, con un evidente e strutturale frazionismo di maggioranza].

Oggi, allora, questo non è più il nostro partito: nel suo impianto di internazionale-frazione, nella sua linea avanguardista, nella sua prassi autoreferenziale. Con sempre più evidenza alla radice del PCL c’era per noi un’altra concezione del rapporto tra classe e partito, del metodo transitorio e anche del centralismo democratico (come abbiamo provato a delineare nel contributo Classe, partito e consigli della scorsa estate). Per questo alla vigilia del percorso congressuale dell’OTI, nel quadro di progetto e una declinazione politica che non è più la nostra, abbiamo scelto di lasciare il PCL. Con la consapevolezza, non retorica ma reale, che con i suoi compagni e compagne ci vedremo fianco a fianco nel conflitto di classe, con la speranza che i percorsi di ricomposizione dei comunisti rivoluzionari, a livello nazionale e internazionale, ci possano permettere di poter un giorno riprendere un cammino comune.

1 febbraio 2022

Le compagne e i compagni della Tendenza Anticapitalismo e rivoluzione
Tiziana Mantovani, Piero Nobili, Luca Scacchi (Comitato centrale);
Dario Casati (coordinatore sezione di Monza), Ruggero Rognoni (coordinatore sezione di Livorno); Francesco Anfossi, Cesidio Angelantoni, Ornella Beggio, Matteo Berni, Massimo Chiesi, Edi Cacciato, Valentino Cataudo, Andrea Di Nicolantonio, Luciano di Donato, Andrea Domenici, Valentina Fumagalli, Luca Lagonigro, Natale Locati, Fiorenzo Maghini, Carla Matta, Fabrizio Montuori, Eva Maltinti, Roberta Mirabelli, Filippo Piacere, Giovanni Roccaro, Daniele Solaini.

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